TERMINI TECNICI SUL CINEMA

Terminologia Usata nel campo cinematografico

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  1. mauro255
     
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    MORPHING

    Il morphing è uno dei primi effetti digitali che siano stati sviluppati dall'industria cinematografica e consiste nella trasformazione fluida, graduale e senza soluzione di continuità tra due immagini di forma diversa, che possono essere oggetti, persone, volti, paesaggi.

    PRIMA DEL MORPHING

    Prima dell'avvento del morphing nel mondo del cinema il modo più efficace per mostrare la trasformazione di un'immagine in un'altra era quello di usare la dissolvenza incrociata: tale tecnica permetteva di ottenere una sovrapposizione graduale dell'immagine di arrivo sull'immagine di partenza, fino alla sua totale sostituzione. Ma tale tecnica aveva un limite che era tanto più evidente quanto più le due immagini avevano contorni differenti, poiché la dissolvenza incrociata non permetteva di ottenere un'effettiva deformazione tra l'una e l'altra. Oltretutto, nel caso di una trasformazione tra due persone, queste dovevano assumere una posizione più simile possibile e poi restare più immobili che potevano, per tutta la durata delle riprese. Creare una trasformazione durante un'azione in movimento non era certo impossibile dal punto di vista tecnico, ma diventava poi quasi impossibile ottenere una sovrapposizione perfetta tra le due riprese effettuate.
    Un esempio di trasformazione ottenuta con questa tecnica si può vedere in La febbre dell'oro, film di Charlie Chaplin del 1925: in una baracca dispersa su una montagna innevata, a causa della fame Big Jim (uno dei personaggi) vede il compagno d'avventura trasformarsi in un pollo.
    Un modo per attenuare questo limite era quello di effettuare non la sola dissolvenza incrociata tra l'oggetto di partenza e l'oggetto di arrivo ma una serie di dissolvenze incrociate tra oggetti appositamente costruiti che rappresentassero uno dopo l'altro le varie fasi della trasformazione.
    L'unico modo per poter ottenere una vera e propria deformazione è quello di ricorrere ad un'elaborazione delle due immagini, cioè all'uso del computer.

    L'AVVENTO DELLA COMPUTER GRAFICA

    Il concetto di computer grafica, cioè la possibilità di generare immagini e animazioni tramite l'uso esclusivo del computer, è nato nella seconda metà degli anni sessanta per scopi industriali e militari.
    Il suo impiego massiccio nell'industria cinematografica si è avuto però solo a partire dagli anni novanta, dal momento che prima di allora le tecnologie informatiche non erano ancora sufficientemente evolute da permettere produzioni di qualità in tempi ragionevoli e con costi sostenibili. Infatti la riproduzione digitale con qualità adeguata di un fotogramma cinematografico necessita di una definizione di almeno 12 milioni di pixel: anche nel caso di una sequenza di pochi secondi diventa necessario memorizzare ed elaborare una mole di bytes che, anche se al giorno d'oggi è irrisoria, per l'epoca era immensa. Al contrario, a partire dagli anni novanta si è assistito ad una proliferazione sempre maggiore di produzioni cinematografiche e televisive in cui si è fatto uso di morphing e altri effetti digitali, e la disponibilità di software per il morphing si è estesa anche al mondo del personal computer.
    Il primo esperimento cinematografico si è avuto nel 1988 col film Willow di Ron Howard, prodotto dalla Lucasfilm: in una scena una strega trasforma un animale in un altro. Tale esperimento si è avuto 11 anni dopo la produzione del primo film in assoluto nel quale si sia ricorso all'aiuto del computer per la creazione di effetti speciali in post-produzione: Guerre stellari di George Lucas (1977). Un secondo impiego di tale tecnologia si è avuto nel 1989 in Indiana Jones e l'ultima crociata di Steven Spielberg, per mostrare il rapido invecchiamento di Walter Donovan, personaggio interpretato da Julian Glover e che decide di bere da un calice sbagliato, cosa che lo conduce alla morte in pochi secondi. Un significativo passo avanti è stato fatto con The abyss, film di James Cameron del 1989, in cui una creatura a forma di tentacolo interamente fatta di acqua assume le sembianze di alcuni attori, mentre questi la guardano, mentre il primo utilizzo televisivo avviene a metà del 1990, per la produzione di un cortometraggio pubblicitario.
    Ma il più grande contributo tecnologico (che fa raggiungere al morphing anche la popolarità tra il pubblico) viene da Terminator 2 (anche questo di James Cameron) e dal video musicale di Michael Jackson "Black Or White" (in cui ad es. Jackson si trasforma in una pantera nera), entrambi prodotti nel 1991.

    COME FUNZIONANO IL WARPING E IL MORPHING

    Il morphing non è altro che l'uso in contemporanea di una dissolvenza incrociata e di un effetto di deformazione chiamato warping (termine inglese che significa, appunto, deformazione).
    Tramite il warping è possibile selezionare su un'immagine dei pixel qualsiasi ponendovi sopra dei "punti chiave", che si possono unire tra di loro con delle linee (come mostrato qui a lato). Cambiando poi la posizione di tali punti l'immagine intera subirà una deformazione, come se fosse una tovaglia (nel caso di un viso si otterrà una caricatura).
    Il morphing è stato studiato per permettere di ottenere una dissolvenza incrociata tra due distinte sequenze, nelle quali due immagini non vengono deformate in modo casuale ma in modo da assomigliare il più possibile l'una all'altra: la sequenza di partenza è il warping della prima immagine, la sequenza di arrivo è l'inverso del warping della seconda immagine (l'inverso perché tale immagine deve tornare alla forma originaria) Grazie a tale effetto è possibile fare in modo che i contorni delle due immagini siano sempre perfettamente sovrapposti, per cui si può arrivare ad ottenere una trasformazione davvero fluida e convincente. In un programma di morphing tutti i punti chiave applicati sugli elementi dell'immagine di partenza appaiono automaticamente anche sull'immagine di arrivo, sulla quale vanno manualmente ricollocati sui corrispondenti elementi.

    A questo punto, come si può intuire, la qualità della trasformazione dipende quasi solo da due fattori:

    la posizione, nell'immagine, in cui vengono collocati i punti chiave,
    la quantità di punti chiave usati.
    Esistono due tipi di morphing: quello bidimensionale e quello tridimensionale. Quest'ultimo richiede l'utilizzo di un oggetto tridimensionale (CAD oppure scansione 3D di un oggetto reale).

    SOFTWARE IN COMMERCIO

    Il primo programma di morphing per personal computer è stato Morph Plus della ASDG nel 1992 poi diventata Elastic Reality (ora Avid) e girava su Amiga. Subito dopo Gryphon Morph "Gryphon Morph", della Gryphon Software Corporation, prodotto nel 1992 per computer Macintosh della Apple (lo sviluppo del quale è giunto fino alla versione 2.5 del 30 novembre 1994, prima di venir interrotto).
    Nel frattempo si sono aggiunte molte altre case di produzione, che hanno sviluppato versioni di morphing disponibili anche per piattaforme Windows. Al di là delle funzioni specifiche di ogni software si può fare la distinzione tra due tipi di programmi: quelli che possono creare trasformazioni solo a partire da immagini fisse (fotografie o disegni) e quelli che possono crearle anche a partire da sequenze video. Attualmente quelli considerati più potenti e ricchi di funzioni sono:

    FantaMorph, della Abrosoft
    MorphBuster, della SoftBuster
    Morpheus, della Morpheus Software
    MorphMan, della Stoik Imaging
    JavaMorph, della GPLv2
     
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  2. mauro255
     
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    PANORAMICA

    Una panoramica è una ripresa realizzata facendo ruotare (o inclinando) una macchina da presa, o una telecamera, sul proprio asse.

    Tale movimento è solitamente reso possibile dalla testata di un cavalletto, che consente di ottenere la fluidità necessaria. Possiamo distinguere vari tipi di movimento: orizzontale (in inglese "panning"), verticale (in inglese "tilting"), obliquo (sbloccando completamente la testata), a 360 gradi, circolare, o composto (sommando più movimenti).

    La panoramica può naturalmente essere combinata con tutti gli altri movimenti di macchina, ed in particolare con la carrellata. Ad esempio, partendo da un particolare, si può allargare dolcemente l'inquadratura spostandosi allo stesso tempo verso sinistra e concludendo in un "campo lungo".

    La realizzazione pratica segue spesso delle regole di base: l'inquadratura di partenza e quella di arrivo sono immagini fisse, e la panoramica deve essere condotta con precisione, senza oscillazioni, aumentando la velocità nella parte centrale per poi rallentare all'arrivo. In effetti, non è un movimento naturale per l'occhio umano (che tende piuttosto ad esplorare un paesaggio muovendosi a scatti da un punto interessante ad un altro), e per questo è usato con moderazione o con movimenti lentissimi, a volte impercettibili.

    In base alla scena ripresa e al movimento seguito, possiamo distinguere panoramiche "ad allargare", "a stringere", "a seguire" (inseguendo un soggetto), o "a schiaffo": quest'ultima è una velocissima panoramica, detta "swish pan", spesso usata in scene drammatiche per rendere l'idea della velocità di oggetti lanciati, come un coltello o una pallottola. La panoramica "descrittiva", infine, può essere usata con efficacia per presentare un personaggio (ad esempio iniziando dai piedi per poi salire lentamente fino a rivelare il volto), o un ambiente (una panoramica di una stanza ci da l'idea anche di chi ci vive).
     
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  3. mauro255
     
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    THX


    THX è un certificato di qualità, applicato ai sistemi di riproduzione audiovisiva, siano essi professionali o domestici.


    DEFINIZIONE

    Erroneamente considerato da molti un sistema di codifica e decodifica audio multicanale, in realtà il THX si occupa di stabilire determinati parametri qualitativi e quantitativi in merito alla riproduzione di materiale audiovisivo, con l'obiettivo di rendere un'esperienza eccellente la fruizione di opere multimediali. Può essere quindi considerato un "sistema di certificazione di qualità". Bisogna comunque sottolineare che il THX ha introdotto significative modifiche ai sistemi di decodifica multicanale ai quali è stato applicato, anticipando, a volte di anni, soluzioni poi implementate nei sistemi di codifica veri e propri. Ciò lo ha reso, agli occhi dei non professionisti, un sistema di decodifica a sé stante.

    CENNI STORICI

    THX è un marchio brevettato nel 1982 dalla Lucasfilm di George Lucas. La sigla THX andrebbe interpretata come Tomlinson Holman eXperiment, dal nome dell'ingegnere incaricato da Lucas di realizzare una sala cinematografica senza compromessi tecnici all'interno degli studios della Lucasfilm (lo Skywalker ranch). Notare comunque che una delle prime opere di Lucas fu un lungometraggio dal titolo THX 1138, 1971 (uscito in italia con il titolo L'uomo che fuggì dal futuro). In ogni caso l' esperienza di Tomlinson fu un successo tale, che ne fu subito concepita un'applicazione commerciale.

    A COSA SI APPLICA

    Lucas desiderava far in modo che lo spettatore percepisse l'opera di un artista esattamente come era stata concepita. Ogni aspetto è quindi coinvolto nel processo, dalla fase di realizzazione del software alla, ovviamente, fase di riproduzione dello stesso. La certificazione THX può dunque essere ottenuta da numerosi soggetti:

    Studi di produzione
    Sale cinematografiche
    Software
    DVD
    Videogiochi
    Hardware
    Componenti per home theater
    Componenti per car audio
    Componenti multimediali per PC

    CONDIZIONI AMBIENTALI

    Stanza: isolata acusticamente, per non disturbare e per non essere disturbati, deve avere il controllo dell'illuminazione e pareti acusticamente assorbenti. Il livello di riverbero deve essere accuratamente controllato, perché può essere determinante sia in positivo che in negativo.
    Poltrone: naturalmente confortevoli, vanno posizionate in maniera da ricevere il suono in modo ottimale, e soprattutto in maniera omogenea per tutti gli spettatori. Stesso discorso per quello che riguarda la visione dello schermo.

    CARATTERISTICHE TECNICHE DEI COMPONENTI

    Schermo: ovviamente lo schermo deve essere wide, ovvero con un aspect ratio di 16:9; negli impianti più raffinati, se dotati di videoproiettore, è possibile modificare l'apect ratio dello schermo per assecondare i formati cinematografici, diversi da quelli televisivi. In ogni caso è importante un valore di contrasto elevato, in grado di assicurare un nero che sia veramente nero, e non un grigio sbiadito come (troppo) spesso accade. L'immagine deve essere grande quanto basta per assicurare un effetto spettacolare, piccola quanto basta per mantenersi chiara e nitida. Può sembrare banale, ma non lo è, in particolare da quando il crollo dei prezzi dei videoproiettori ha consentito di incrementare, a costi relativamente bassi, la superficie visiva. Grande è bello, nitido è meglio.
    La grandezza ideale prevede che lo spettatore non debba avere una visuale maggiore di 40° orizzontali e 15° verticali.

    Altoparlanti: accuratamente posizionati, devono avere sufficiente potenza per poter riprodurre un'elevata pressione sonora senza distorsioni. Vanno direzionati in modo da coprire tutta l'area d'ascolto.
    Subwoofer: va accuratamente calibrato, affinché la sua frequenza di intervento sia effettivamente nall'ambito delle basse frequenze, e comunque mai al di sopra dei 120 Hz. I suoni veramente bassi, più che ascoltati vanno 'percepiti'.
    Canale surround: vanno scelti e posizionati in modo da garantire sia una buona resa degli effetti speciali, che la fedele riproduzione dell'ambiente circostante riprodotto nel film.
    Processore surround: spesso integrato nell'amplificatore, questo elemento, oltre a decodificare il segnale audio proveniente dal software in riproduzione (p. e. Dolby Digital), provvede ad effettuare le opportune ri-equalizzazioni previste dal sistema di qualità THX, con lo scopo di adattare una colonna sonora originariamente concepita (e mixata) per essere riprodotta in grandi sale cinematografiche:
    1.Re-EQ: ri-equalizzazione delle alte frequenze sui canali frontali.
    2.Timbre Matching: ottimizzazione dei passaggi di effetti sonori da un fronte all'altro della scena sonora, p.e. dal frontale al posteriore.
    3.Adaptive Decorrelation: incremento della spazialità del suono, particolarmente utile per colonne sonore originariamente registrate in mono.
    4.Advanced Speaker Array: ottimizza la riproduzione del canale posteriore, in particolare in presenza di sistemi a 7.1 canali.

    CURIOSITA'

    In una puntata della serie "I Simpson", è stata creata una parodia riguardante la sigla, che farebbe scoppiare le lenti degli occhiali di Hans Uomo Talpa, i denti di uno spettatore, il cartello "uscita", il soffitto della sala cinematografica e la testa di un altro spettatore.

    Nei titoli di testa del videogioco "The Curse of Monkey Island" appare la scritta CMI in un crescendo di urla di scimmie, al termine delle quali compare la scritta "The monkeys are listening".

    All'inizio del film "Tenacious D e il destino del rock" vi è una piccola scena in cui i protagonisti, in versione cartone animato, annunciano l'inizio del soundcheck, che non è altro che un loro interminabile "peto" che si tramuta infine nel crescendo del logo del THX.
     
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  4. mauro255
     
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    PROFONDITA' DI CAMPO

    In fotografia, la profondità di campo nitido o semplicemente profondità di campo (abbreviato in PdC o DoF dall'inglese Depth of Field) è la distanza davanti e dietro al soggetto principale che appare nitida (a fuoco). Per ogni impostazione dell'obiettivo, c'è un'unica distanza a cui gli oggetti appaiono perfettamente a fuoco; la nitidezza diminuisce gradualmente in avanti (verso il fotografo) e indietro (in direzione opposta). Il "campo nitido" è quell'intervallo di distanze davanti e dietro al soggetto in cui la sfocatura è impercettibile o comunque tollerabile; la PdC si dice essere maggiore se questo intervallo è ampio e minore se è ridotto. Per motivi legati all'angolo di incidenza dei raggi luminosi, il campo nitido è sempre più esteso dietro al soggetto a fuoco che davanti; più precisamente, la distanza perfettamente a fuoco si trova grosso modo a un terzo del campo nitido, verso il fotografo. Un punto al di fuori del campo nitido (sfocato) produce sulla pellicola un circolo di confusione, il cui diametro cresce man mano che ci si allontana dal campo nitido stesso.

    FATTORI CHE INCIDONO SULLA PROFONDITA' DI CAMPO

    Ci sono molti fattori che incidono sulla profondità di campo in uno scatto. I più importanti sono la lunghezza focale, la distanza del soggetto, e l'impostazione del diaframma della fotocamera.

    LUNGHEZZA FOCALE

    Si usa dire che obiettivi con lunghezza focale maggiore (come i teleobiettivi) hanno una PdC minore, e viceversa. In effetti, questa affermazione richiede una precisazione, in quanto il rapporto fra PdC e focale consegue più dall'uso tipico che si fa delle focali di diversa lunghezza (focali lunghe per riprendere oggetti distanti, corte per soggetti vicini) che non da proprietà fisiche delle lenti. Questo concetto può essere chiarito con un esempio. Si consideri un fotografo che usa una focale a 400 mm per riprendere un uccello a 10m di distanza. Con un'apertura di diaframma di f/2,8, la PdC risulta essere di 10 cm. Se lo stesso fotografo cambiasse obiettivo passando a un 50 mm, la PdC passerebbe a 7,62 m, "confermando" la menzionata affermazione sul rapporto fra PdC e lunghezza focale. Tuttavia, se il fotografo volesse ricomporre l'immagine in modo che l'uccello occupi lo stesso spazio di prima nel fotogramma, dovrebbe avvicinarsi al soggetto fino a una distanza di 1,25 m. A questo punto, la PdC tornerebbe a essere (quasi) esattamente come prima, ovvero 10 cm.

    In realtà influisce sulla PdC la struttura dell'obiettivo e, precisamente, la collocazione del diaframma e quindi della "pupilla di uscita" rispetto al secondo "piano principale": nei grandangolari "retrofocus" (chiamati a anche "teleobiettivi invertiti") la pupilla di uscita è diversamente spostata, rispetto al secondo piano principale, rispetto a quanto avviene nei "teleobiettivi"; pertanto risulta che, a pari ingrandimento e pari apertura relativa, la PdC è addirittura leggermente minore con un grandangolare retrofocus che con un teleobiettivo.

    DISTANZA DAL SOGGETTO


    A parità di tutto il resto, la messa a fuoco di un soggetto lontano risulta in una maggiore PdC rispetto a quella di un soggetto vicino. In particolare, per ogni impostazione della fotocamera esiste una distanza iperfocale, e la PdC è tanto maggiore quanto più il soggetto, allontanandosi, si avvicina a tale distanza. Quando il punto a fuoco coincide con l'iperfocale, si raggiunge la massima PdC possibile, che si estende in lontananza fino all'infinito e, verso il fotografo, fino a metà dell'iperfocale (molte fotocamere hanno una impostazione vari-program per l'iperfocale, che massimizza la PdC). Se il punto di fuoco oltrepassa l'iperfocale, la PdC diminuisce, poiché, pur continuando essa a estendersi in lontananza all'infinito, la distanza del più vicino oggetto a fuoco dalla macchina aumenta.

    APERTURA DEL DIAFRAMMA

    Maggiori aperture del diaframma corrispondono a minori PdC, e viceversa. Nella maggior parte dei casi, gli obiettivi danno i migliori risultati ad aperture intermedie.

    FORMULE

    Sia I la distanza iperfocale, S la distanza del soggetto dalla fotocamera, F la lunghezza focale, sia DL la distanza dell'estremo lontano del campo nitido, e DV la distanza dell'estremo vicino:

    Dl = (I) (S)/I - (S-F) Dv = (I) (S)/I + (S-F)


    LA PROFONDITA' DI CAMPO NELLA COMPOSIZIONE

    Molti fotoamatori suppongono che avere una PdC ampia sia sempre preferibile, e alcune fotocamere automatiche compatte selezionano invariabilmente le impostazioni di diaframma e tempo di esposizione che massimizzano la PdC.

    La scelta della PdC in una fotografia, in realtà, costituisce una delle scelte rilevanti dal punto di vista artistico, e uno dei mezzi fondamentali con cui il fotografo può agire creativamente sull'immagine.

    Per esempio, una PdC molto corta può servire quando si vuole enfatizzare il soggetto "nascondendo" in un alone di sfocato eventuali elementi di disturbo sullo sfondo; questo è uno dei motivi per cui l'uso di un teleobiettivo moderato è spesso consigliato nel ritratto, oltre alla caratteristica propria del teleobiettivo di rispettare le proporzioni.

    Con obiettivi particolarmente luminosi come il 50 f/1.8, ma anche le versioni ancora più aperte come l'f/1,4 fino all'f/0,95, l'effetto dato dalla profondità di campo particolarmente ridotta (nell'ordine di pochi centimetri) comporta una particolare evidenziazione del soggetto messo a fuoco, mentre il resto dell'immagine è caratterizzato dal cosiddetto bokeh (o circolo di confusione), consistente in una sorta di flou che caratterizza tutto ciò che si trova davanti o dietro il punto di messa a fuoco.

    NEL CINEMA

    La profondità di campo nel cinema fu una delle caratteristiche delle origini. Nell'Arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat dei Fratelli Lumière si vedeva a fuoco sia il treno che arrivava obliquamente in lontananza, sia i passeggeri che in seguito scendevano in primo piano.

    L'uso della profondità di campo venne abbandonato nel periodo classico del cinema muto, per tornare in voga nel cinema moderno degli anni Sessanta.




     
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  5. mauro255
     
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    MASCHERINO


    Il Mascherino è un oggetto sagomato, che si pone sulla lente della cinepresa, usato durante le riprese cinematografiche allo scopo di non rendere visibile una parte dell'immagine registrata (generalmente quelle sopra e sotto l'immagine) al fine di ottenere una visione panoramica e il conseguente stamapaggio della pellicola in un formato cinematografico appunto panoramico, quale ad esempio il 2,35:1 o l'1,85:1.

    ELIMINAZIONE DEL MASCHERINO

    Talvolta, ad uso del mercato dell'home video (dove fino a qualche tempo fa le videocassette ed i DVD venivano guardati prevalentemente in televisori 4/3), si utilizza un processo denominato open matte, voluto dalle case di distribuzione in sede di postproduzione cinematografica atto a ottimizzare l'immagine a tutto il quadro della TV 4/3 (cioè al formato 1,33:1).

    Quindi non si perdono porzioni di immagine, ma anzi se ne aggiungono, in particolare si aggiungono le parti che, in sede di ripresa, venivano nascoste dal mascherino. Questo, tuttavia, non garantisce una migliore visione, anzi sovente lo spettatore è costretto a vedere dettagli non richiesti, quali ad esempio il microfono che registra il sonoro della scena.

    Può capitare che durante la proiezione di un film in un sala cinematografica il proiezionista collochi male il mascherino sulla lente del proiettore, in questo caso può accadere che risulti visibile il microfono, inducendo gli spettatori sorpresi dalla sua improvvisa ed inaspettata comparsa, a ritenere che la produzione cinematografica abbia commesso un errore in sede di ripresa, mentre invece si tratta più semplicemente di un errore del proiezionista.
     
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  6. mauro255
     
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    WIDESCREEN

    Widescreen, letteralmente traducibile in italiano come schermo largo, è la locuzione che si usa, principalmente nel campo dell'home entertainment, per indicare che un formato video occupa orizzontalmente tutto lo schermo. In particolare negli apparecchi televisivi in formato 16/9 il widescreen si ha quando l'immagine occupa tutto lo schermo e quindi possiede un aspect ratio 1,78:1.

    ESEMPI DI WIDESCREEN

    Nei casi in cui le emittenti televisive per effettuare una trasmissione widescreen non inseriscano delle bande nere (matte) sopra e sotto l'immagine, si trattera' di trasmissione 16:9 nativa che puo' essere visualizzata correttamente in widescreen dagli schermi 16:9, mentre quelli 4:3 potranno riprodurre il formato inserendo le bande nere (formato letterbox) e diminuendo l'altezza della risoluzione visiva per mantenere la proporzione della lunghezza originale oppure tagliando l'immagine, senza effettuare zoom ma riducendo al formato in 4:3 e perdendo le informazioni visive delle zone periferiche laterali.

    Nei casi in cui le emittenti televisive per effettuare una trasmissione widescreen inseriscano delle bande nere (matte) sopra e sotto l'immagine, il televisore 16:9 potra' ingrandire (zoom) l'immagine a schermo pieno, ma questa pur essendo visualizzata in widescreen, conterra' meno linee e punti di una trasmissione nativa, risultando di risoluzione visiva, per cui di qualita' percettiva, inferiore; il televisore 4:3 potra' tagliare ed ingrandire (pan & scan) la parte centrale della schermata 16:9, permettendo di mantenere l'altezza di visualizzazione a schermo pieno eliminando le bande nere, a scapito delle zone laterali che verranno sacrificate, con un effetto finale che riduce sensibilmente l'area percettiva ed abbassa la risoluzione rispetto alla trasmissione nativa, peggiorando la qualita' dell'immagine.

    Alcuni canali televisivi satellitari del circuito SKY e digitali terrestri di Premium Calcio e Premium Gallery, ma anche Rai Sport Più e molti altri, attualmente trasmettono il segnale televisivo widescreen in 16:9 nativo.
     
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  7. mauro255
     
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    LO STORYBOARD

    Lo storyboard è il disegno delle inquadrature di un'opera filmata, dal vero come d'animazione.

    Potrebbe essere definito sceneggiatura disegnata, oppure visualizzazione di un'idea di regia.
    Si tratta di una serie di disegni, in genere diverse centinaia, che illustrano, inquadratura per inquadratura, ciò che verrà girato sul set. In genere sotto i disegni vengono indicati i movimenti della macchina da presa, ad esempio: panoramica a destra, oppure carrello in avanti, e delle frecce ne indicano la direzione. Spesso altre frecce, poste all'interno dell'inquadratura, indicano i movimenti dei personaggi e degli oggetti. A volte viene descritta la scena e vengono riportati brani del dialogo, oppure si scrive il tipo di obiettivo che si intende usare, la luce o l'atmosfera che si vuole avere e, certe volte, si segnala addirittura il costo di un'inquadratura.

    LE ORIGINI

    Il primo regista ad usare gli storyboard fu, probabilmente, Walt Disney per i suoi cartoni animati.
    Già nel 1927, nella serie 'Oswald the lucky rabbit', Disney faceva disegnare dal suo animatore Webb Smith lo storyboard completo dei suoi cortometraggi (all'epoca veniva chiamato continuity sketches).

    Verso l'inizio degli anni '30, probabilmente a causa del successo che ebbe Walt Disney, quasi tutti i film prodotti dagli Studios venivano story¬boardati. Questo fenomeno aveva anche un'altra motivazione: in quegli anni gli Studios realizzavano oltre 500 film l'anno, e il controllo del prodotto finito (il cosiddetto 'final cut') era saldamente nelle mani dei produttori. Avere lo storyboard di ogni film permetteva loro di mantenere alta la produzione, senza perdere il controllo di ciò che finanziavano.

    Tale motivo però non fu di certo l'unico: Orson Welles, nonostante avesse ottenuto un contratto incredibile per l'epoca, il quale gli lasciava la più completa libertà creativa (compreso il fatidico 'final cut'), decise di storyboardare Quarto potere. Welles lavorò alla visualizzazione della sceneggiatura con l'art director Terry Fergusson. Gli storyboard vennero realizzati da Fergusson stesso e da quattro illustratori che lavoravano nell'art department del film.

    CASI DI IMPIEGO

    Lo storyboard viene utilizzato quasi sempre, in tutto il mondo, nella preparazione degli spot pubblicitari.
    Questo avviene principalmente per due motivi:

    Avendo a disposizione un tempo molto limitato per presentare e pubblicizzare un prodotto, è evidente che la sequenza delle immagini dovrà essere il più possibile calcolata e calibrata;
    Il cliente dell'agenzia, cioè chi vuole pubblicizzare il proprio prodotto, molto spesso sceglie il suo spot tra un certo numero di possibilità, che gli vengono presentate e illustrate attraverso lo storyboard, che assume un po' la funzione di un catalogo.
    Inoltre, anche quando la proposta è una sola, il cliente, non essendo un addetto ai lavori, può fare le sue considerazioni ed esprimere i suoi dubbi, su qualcosa di molto più chiaro e di molto più simile allo spot finito, di quanto sia, per lui, una sceneggiatura o una scaletta.

    Lo storyboard viene usato molto spesso, nel cinema, quando si intendono utilizzare degli effetti speciali ottici in quanto in questo caso si tratta di combinare in un'unica inquadratura immagini diverse, e poter visualizzare prima il risultato finale delle immagini sovrapposte può rivelarsi molto utile.
    Lo storyboard viene usato quasi sempre per visualizzare le scene di un film che dovranno essere elaborate elettronicamente, in fase di postproduzione. Visto l'alto costo di questi procedimenti, è evidente il motivo per il quale viene utilizzato: risparmiare tempo e denaro. È ovvio poi che, attraverso un disegno, è molto più facile per un regista spiegare al tecnico degli effetti visuali, qual è l'immagine che vorrà vedere nel film (basta pensare all'uomo di metallo in Terminator 2, oppure ai dinosauri di Jurassic Park) e, per il tecnico, fare un preventivo per la produzione.

    USO DELLO STORYBOARD NEL MONDO DEL CINEMA

    Lo storyboard viene utilizzato nella maggior parte dei film americani e inglesi, soprattutto quelli d'azione, e molto raramente nei film italiani e francesi.
    Alfred Hitchcock fu certamente uno di questi; è abbastanza noto il fatto che disegnava per intero i suoi Film, ma solo con la risistemazione degli archivi della RKO si è capito fino a che punto si spingeva il suo perfezionismo: conservate in grosse scatole sono state ritrovate decine di migliaia di disegni, per lo più a colori, che illustravano i suoi film, inquadratura per inquadratura. Hitchcock amava dire che considerava i suoi film finiti prima ancora di girarli, e che molto raramente guardava nel mirino della macchina da presa, tanto sapeva già che l'inquadratura sarebbe stata l'equivalente fotografico degli storyboard.
    Anche Martin Scorsese realizza i suoi film prima sulla carta e poi sul set. Disegna lui stesso tutte le inquadrature dei suoi film.
    Anche Katryn Bigelow che, prima di diventare regista, è stata una pittrice, disegna da sola i suoi storyboard. "Non dipingo più (...) disegno solo i miei storyboard. Faccio degli storyboard molto precisi, così da visualizzare tutte le scene e, in seguito, lavoro su questi storyboard con il direttore della fotografia. I miei storyboard sono sempre molto precisi, soprattutto quelli delle scene d'azione".
    Spielberg, invece, non sa disegnare, ma in compenso assolda schiere di storyboard-artist per i suoi film. Prima di realizzare Jurassic Park ha messo al lavoro cinque illustratori sulle bozze del romanzo di Crichton, con il risultato che probabilmente anche lo scrittore è stato influenzato dagli storyboard. Per anni gli storyboard sono stati rivisti e corretti, tanto da far dire ad uno degli storyboard-artist che era affascinato da quella specie di lotta per la sopravvivenza che si ingaggiava tra un disegno e un altro. Ridley Scott può essere definito un vero entusiasta dello storyboard. Per lui "ognuno di quei disegni abbozzati vale da solo più di mille parole". Nei suoi film "l'ingranaggio della produzione progredisce con gli storyboard", che "salvano una incommensurabile quantità di tempo e forniscono al regista il senso chiaro delle sue mete".
    Anche James Cameron disegna tutte le inquadrature dei suoi film. Il regista di Titanic e Terminator considera lo storyboard "un inestimabile strumento per la visualizzazione di un film, che, come la parola scritta, può essere appena abbozzato o perfettamente definito, può essere seguito rigidamente o gettato nel cestino, con l'evolversi della visualizzazione della sceneggiatura".
    L'uso dello storyboard è così invalso che il fatto di non usarlo può assumere quasi il valore di una scelta controcorrente, il rifiuto di una tradizione, di un sistema di lavoro collaudato e consolidato nel tempo.
    Non lo usa David Cronenberg, perché lo sente come una limitazione alla sua creatività.
    Non lo usa Walter Hill per pigrizia, dice lui (ma è anche vero che le sue sceneggiature si sviluppano per singole immagini, e sono state definite degli 'storyboard verbali'); non lo usa David Lynch, perché "molte cose cambiano mentre vengono girate"; non lo usa più John Carpenter, anche se lo ha utilizzato nei suoi primi film, perché preferisce trovare le inquadrature sul set.

    UTILITA'

    Il fatto che un regista abbia le idee chiare rispetto al tema, alle atmosfere o alle emozioni che vuole esprimere, non vuol dire necessariamente che egli sappia con chiarezza quale sia il modo migliore per visualizzarle.
    Durante questa ricerca, che è l'anima del processo creativo di un regista, lo storyboard a volte può rivelarsi utile.
    La sua funzione principale è quella di aiutare il regista a trovare il modo migliore per visualizzare un evento, e assolve alla sua funzione anche quando viene buttato nel cestino, anzi: è proprio scartando le ipotesi che non funzionano che il regista acquista maggiore consapevolezza di ciò che vuole e di come lo vuole realizzare.

    Oltre a questa che potremmo definire la sua funzione primaria, lo storyboard assolve a molte funzioni secondarie.
    La sua forza sta nel fatto di essere realizzato con le immagini; e, in questo senso, può diventare un vero e proprio linguaggio che dà la possibilità al regista di comunicare più chiaramente le sue idee ai suoi collaboratori, per discutere col direttore della fotografia, con lo scenografo, con gli stunt, i macchinisti o la produzione su dei disegni invece che su un'idea.
    Lo storyboard può servire alla produzione per capire meglio i costi di una scena, o addirittura per inchiodare un regista alle sue scelte, facendogli firmare i disegni come un contratto, in modo da non far lievitare troppo i costi della lavorazione (è successo a Coppola, considerato un regista 'pericoloso' dalle produzioni, quando ha girato Dracula). Può servire a capire se alcune scene sono troppo pericolose: Cameron dopo aver visto gli storyboard, ha deciso di eliminare una scena nella quale il terminator di metallo si schiantava con l'elicottero dentro un tunnel. Può esser utilizzato dall'aiuto regista per capire quante e quali inquadrature (e quindi quanto tempo) servono al regista per girare una scena e, su questa base, fare il piano di lavorazione. È utile anche per capire in quali scene il protagonista verrà sostituito dalla controfigura, e preparare su questa base l'ordine del giorno, evitando inutili attese alla star, ma anche al suo doppio. In questo senso è utile anche al regista per capire quali e quante inquadrature ravvicinate del protagonista ha bisogno per far credere al pubblico che sia lui a compiere quella certa azione spericolata.
    Può servire per risolvere, con una sequenza calcolata di immagini, un punto poco credibile della sceneggiatura (basti pensare a film come True Lies o Robin Hood, o alla serie di 007, sia anche al mondo visionario di Brian De Palma). Dice Ridiey Scott: ..Quello che sembra all'inizio impossibile da filmare, lentamente prende forma, fotogramma dopo fotogramma, nello storyboard.
    Lo storyboard può servire per trovare le inquadrature migliori se il set è piccolo, presenta degli impedimenti, o può essere filmato solo su uno o due lati.
    Può servire ad un regista esordiente per affrontare prima, almeno sulla carta, i problemi che si troverà di fronte durante le riprese, acquisendo così una maggiore sicurezza sul set, e limitando i danni che potrebbero venire dall'inesperienza.
    Può servire da corredo ad una sceneggiatura che si vuole proporre ad un produttore. Qualche volta, insieme al testo scritto, soprattutto se lo sceneggiatore intende proporsi anche come regista, si accludono alcune sequenze storyboardate per dare un'idea al produttore del taglio visivo che si intende utilizzare nel film, oppure soltanto per presentare un 'pacchetto più ricco', con l'intento di dare l'impressione di una certa serietà. Kevin Costner ha girato per molto tempo per le case di produzione americane cercando finanziamenti per il suo Balla coi lupi: presentava la sceneggiatura insieme ad un meraviglioso storyboard a colori dell'intero film.
    Può servire ad un regista americano per avere una sorta di final-cut, senza impegnarsi nella produzione del suo film, una tecnica usata spesso da Brian De Palma che, soprattutto all'inizio della sua carriera, presentava la sceneggiatura insieme allo storyboard completo del suo film, facendolo approvare e firmare dai produttori, disegno per disegno, in modo da essere sicuro che nulla sarebbe cambiato nel montaggio finale.
     
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  8. mauro255
     
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    POST-PRODUZIONE


    La post produzione è l'ultima fase della produzione cinematografica. Segue la lavorazione, in cui il film viene girato, e precede la distribuzione al pubblico del prodotto finito.

    La post produzione è composta di una serie di differenti processi, riguardanti sia la parte visiva che quella sonora. In questa fase è fondamentale la figura del direttore di edizione, che coordina i lavori e al quale competono anche i titoli di testa e i titoli di coda. Egli inoltre, organizza le proiezioni di prova, gestisce i rapporti con le varie aziende specializzate, si occupa di alcune questioni legali, fino alla spedizione del film ai distributori. Le componenti principali della post-produzione sono:

    il montaggio del film (con la moviola o più comunemente con le tecniche digitali);
    la registrazione delle musiche, nel caso non siano già pronte o si voglia sincronizzarle alla perfezione col film montato (ad esempio per sottolineare una scena importante);
    la creazione degli effetti speciali visivi (ad esempio utilizzando le tecniche di animazione al computer);
    l'aggiunta degli effetti sonori, eventualmente facendo intervenire un rumorista;
    la realizzazione del doppiaggio (se necessario, come per le voci fuori campo, ecc.);
    il montaggio, la sincronizzazione e il missaggio delle varie tracce audio a formare la colonna sonora;
    la correzione del colore (eventualmente affidata al direttore della fotografia);
    il taglio del negativo e la stampa della copia definitiva, quella poi usata per creare le copie da distribuire (ma anche in questa fase si sta iniziando ad utilizzare il digitale);
    Tutte queste procedure messe assieme richiedono spesso molto più tempo di quello impiegato a girare il film. Nel caso di film con molti effetti speciali, possono essere impegnati in questa fase centinaia di tecnici altamente specializzati.
     
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  9. mauro255
     
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    BULLET TIME


    Il bullet time (letteralmente "tempo di/della pallottola") è un effetto speciale e tecnica cinematografica che consente di vedere ogni momento della scena in slow-motion mentre l'inquadratura sembra girare attorno alla scena alla velocità normale. Reso celebre dai fratelli Wachowski nel film Matrix del 1999, secondo alcuni questo effetto sarebbe ispirato come idea visuale alle tecniche di ripresa usate dal regista di anime giapponese Yoshiaki Kawajiri nel lungometraggio Demon City Shinjuku.[1]

    Il bullet time è in realtà lo sviluppo di una vecchia tecnica fotografica conosciuta come fotografia time-slice ("fetta di tempo"), nella quale un grande numero di fotocamere è disposto attorno ad un oggetto e viene fatto scattare simultaneamente. Quando la sequenza degli scatti è vista come un filmato, lo spettatore vede come le "fette" bidimensionali formano una scena tridimensionale. Guardare una tale sequenza di "fetta di tempo" è analogo all'esperienza reale di camminare attorno ad una statua e di vedere come appare dalle diverse angolature.

    Alcune scene di Matrix implementano l'effetto "fetta di tempo" congelando totalmente personaggi e oggetti. Tecniche di interpolazione consentono di rendere fluido il movimento dell'inquadratura. L'effetto è stato sviluppato ulteriormente dai fratelli Wachowski e dal supervisore agli effetti speciali John Gaeta per creare il bullet time, che supporta movimenti temporali, in modo tale da non congelare totalmente la scena, ma facendola vedere al rallentatore o con velocità variabile. Ingegneri della Manex Visual Effects implementarono metodi per spostare l'inquadratura su complesse curve in modo flessibile. Fu introdotta anche maggiore fluidità con l'uso di interpolazioni non lineari, e la creazione di scene virtuali al computer.

    Nei videogiochi, il bullet time (introdotto per la primissima volta, seppur in forma "rudimentale", in Hitman: Codename 47) ha riscosso un grande successo nella serie Max Payne, dove questo fattore è cruciale per il gameplay. Il giocatore può temporaneamente "rallentare il tempo" (si può interpretare come un momento in cui il protagonista è particolarmente concentrato), avendo così la possibilità di prendere la mira nel modo migliore e sopravvivere a sparatorie contro più avversari.
     
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  10. mauro255
     
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    CAMEO

    La parola inglese cameo è la traslitterazione della italiana cammeo. Nel tempo le espressioni cameo role o cameo appearance abbreviate in cameo hanno acquisito in inglese il significato di breve apparizione in uno spettacolo teatrale, in un film o più in generale in uno spettacolo recitativo, di una persona nota che interpreta se stesso; in seguito si è estesa anche a interpretazioni di personaggi.
    La parola cameo è utilizzata in italiano prevalentemente nel significato appena illustrato, ma anche come variante del termine cammeo con il significato originario di gioiello.
    Il cameo è spesso interpretato da un attore più prestigioso di quanto non richiederebbe lo spessore del ruolo. Una breve apparizione è comunque considerata un cameo se è fatta da qualcuno conosciuto per qualcosa di diverso dalla recitazione, come un regista, un politico o un atleta, che compaiono brevemente in scena.
    In genere sono considerate cameo le apparizioni non accreditate nei titoli di coda del film.
    Per essere considerato cameo, l'attore deve apparire nel film per almeno cinque secondi.

    I CAMEO NELLA STORIA DEL CINEMA

    Uno dei primi cameo nella storia del cinema è probabilmente quello di Erik Satie e dei suoi amici artisti nel film muto Entr'acte (1920).
    Il film Il giro del mondo in 80 giorni di Michael Anderson (1956) è costellato di cameo e donò un'ampia diffusione al termine fuori dalla professione teatrale.
    I più famosi sono probabilmente i cameo di Alfred Hitchcock, che appariva frequentemente come comparsa nei film da lui stesso diretti.
    Nel film Pink Floyd The Wall (1982) Roger Waters (autore di tutti i testi e di gran parte delle musiche dell'opera) appare come cameo in Mother nella sequenza del matrimonio di Pink, come testimone dello sposo.
    In Hostel: Part II (2007) sono presenti 3 cameo, ovvero quelli di Edwige Fenech, Luc Merenda e Ruggero Deodato.
    Nel film Desperado (1995) diretto da Robert Rodriguez è presente un cameo di Quentin Tarantino, grande amico del regista.
    In tutti gli adattamenti cinematografici dei fumetti della Marvel Comics sono presenti i cameo di Stan Lee, storico autore della casa editrice newyorkese.

    I CAMEO NELLA STORIA DEI VIDEOGIOCHI

    In Mortal Kombat, il nome di Ermac in realtà deriva dalla fusione delle parole Error e Machine: infatti, Ermac è il risultato di un errore delle Palette Swap di Reptile nel primo Mortal Kombat, che poteva accadere ogni tanto quando si faceva il trucco "due flawless victory e fatality" nello stage "The Pit". Quando si finiva sul fondo dello stage per affrontare Reptile, poteva accadere di trovarsi contro una versione rossa col nome ERMAC (ER-MACH appunto). Ermac venne poi reso un personaggio effettivo solo in UMK 3, visto il crescente successo tra i fan che ritenevano di aver scoperto un altro trucco anziché un errore del gioco da sala giochi.
     
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  11. mauro255
     
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    MONTAGGIO

    Il montaggio è la principale fase della cosiddetta post-produzione di un filmato, durante la quale il materiale disponibile è visionato, analizzato e ricomposto in base ad esigenze narrative, strutturali, ritmiche ed espressive. La "composizione" avviene attraverso tagli e unioni per mezzo di attrezzature meccaniche (come la moviola) o informatiche (workstation o software di montaggio). In particolare nel cinema, per montaggio si intende il cosiddetto "montaggio scena", in cui si dispongono le singole inquadrature nell'ordine narrativo previsto dalla sceneggiatura; il "montaggio scena" è seguito dal montaggio del suono, che si occupa della rielaborazione dell'audio, nelle sue diverse tracce. Fase preliminare del montaggio è la sincronizzazione, ovvero l'accoppiamento delle immagini ai rispettivi suoni, registrati separatamente in fase di ripresa.
    Le varie riprese scelte fra le molte che vengono girate durante la produzione di un filmato, vengono poste in successione una dopo l'altra con l'operazione del montaggio. Questo ritmo può essere molto disteso se è costituito da una serie di poche inquadrature, ognuna delle quali occupa un numero abbastanza ampio di secondi, fino all'uso di una sola inquadratura o take unico: oppure può essere frenetico se le inquadrature sono moltissime e ciascuna occupa pochi secondi o anche meno.
    Il succedersi di una inquadratura all'altra può avere un piglio più deciso e nervoso se il passaggio o stacco o cut è immediato: può essere invece più dolce e riposata se un'inquadratura sfuma nell'altra con una dissolvenza, spesso incrociata, in cui mentre la prima immagine scompare o dissolve, appare o assolve la seconda.
    Il montaggio quindi è l'elemento dal quale dipende la percezione da parte dello spettatore del ritmo della narrazione. Insieme alla fotografia, è parte essenziale della messa in scena operata dal regista: mentre la fotografia determina l'aspetto estetico del film, il montaggio ne costituisce lo stile narrativo.

    STORIA

    Il primo ad utilizzare tecniche di montaggio fu uno dei pionieri del cinema, Georges Méliès, il quale comprese che tagliando ed incollando tra loro spezzoni di diverse riprese si potevano creare dei rudimentali effetti speciali. Fu invece David W. Griffith a rendere evidenti le potenzialità del montaggio ai fini narrativi.
    Nel film La nascita di una nazione del 1915, egli teorizzò gli elementi alla base del "linguaggio cinematografico": inquadratura, scena e sequenza. Nel 1920, il regista russo Lev Koulechov compì un importante esperimento: alternò col montaggio il primo piano dell'attore Ivan Mousjoukine con riprese di vario tipo (un banchetto, un cadavere, un bambino), e sebbene l'espressione del viso dell'attore non cambiasse, il pubblico percepiva i suoi differenti stati d'animo (fame, paura, tenerezza). Questo esperimento permise in seguito a Sergej M. Ejzenštejn, e agli esponenti dell'espressionismo tedesco e del surrealismo, di dare una dimensione nuova al montaggio: attraverso la correlazione o l'opposizione di due immagini in sequenza, si ottenevano significati e simbolismi che travalicavano il contenuto delle singole inquadrature.
    In seguito, con l'avvento del sonoro e l'eliminazione delle didascalie, il montaggio divenne più fluido: la transizione fra le inquadrature aveva ora una maggiore continuità, potendo utilizzare dialoghi e suoni in aggiunta a dissolvenze ed "inserti" (piccole inquadrature di raccordo o esplicative, spesso riguardanti un dettaglio). A partire dagli anni cinquanta, i registi iniziarono ad aumentare il ritmo dei film, eliminando i tempi morti, introducendo l'ellissi, dando maggiore importanza al fuori campo e modificando la continuità temporale del film con più libertà. Si prestava ora maggior attenzione al significato dell'intera scena, ai rapporti di causa ed effetto, all'interpretazione degli attori, tralasciando i particolari non strettamente necessari.

    IL LAVORO DEL MONTATORE

    Nel montare il film, il montatore si attiene alle note presenti sul "foglio di montaggio", un particolare modulo sul quale la segretaria di edizione annota, durante la lavorazione sul set, i numeri di riferimento delle riprese, le impostazioni di macchina, le condizioni ambientali e le eventuali indicazioni del regista. Sapere esattamente cosa utilizzare è fondamentale, poiché di solito si effettuano diversi ciak per ognuna delle riprese, e queste sono effettuate secondo un ordine che asseconda le esigenze della produzione: per contenere i costi, si gira il più in fretta possibile, cercando di muovere la troupe il meno possibile; scene ambientate in uno stesso luogo sono quindi girate tutte assieme, senza tener conto che andranno inserite in parti differenti del film. Inoltre, possono esserci riprese girate da più angolazioni differenti e magari da più macchine contemporaneamente. L'insieme del "girato", di conseguenza, può essere costituito da decine di chilometri di pellicola: le note del regista sulle riprese "buone", costituiscono quindi il punto di partenza per organizzare il lavoro.
    All'atto pratico, montare il film consiste nel tagliare il materiale a disposizione, isolando singoli elementi, spezzoni più o meno lunghi per poi congiungerli a formare una scena, ossia quella particolare parte del film che si svolge in un determinato luogo e lasso di tempo. Montando tra loro le scene, si ottengono le sequenze, ovvero i capitoli del film. Mettendo in fila le sequenze si completa il montaggio.

    MONTAGGIO ON-LINE E OFF-LINE

    Per montaggio on-line si intende un montaggio eseguito utilizzando apparecchiature della stessa classe di quelle utilizzate per la ripresa, cioè pellicola, videoregistratori professionali e centraline di classe alta.
    Per montaggio off-line si intende un montaggio eseguito riversando il girato su un supporto di lavoro, spesso economico, o acquisendolo in un sistema di montaggio a bassa risoluzione. Eseguito il montaggio, si ha a disposizione una lista di operazioni (detta Edit Decision List o EDL) che, usando il timecode o il numero di piedaggio sulla pellicola, può pilotare macchine online per eseguire il montaggio vero e proprio sui supporti di origine.

    CINEMA

    Il montaggio cinematografico viene eseguito tradizionalmente con la moviola, la quale consente varie operazioni, compresa la sincronizzazione dell'audio. La moviola permette di eseguire un montaggio 'non-lineare' ossia 'diretto', giuntando direttamente le immagina di una copia di lavorazione una dopo l'altra. Se nella parte di film già montata si ha la necessità di apportare delle modifiche [inserire o togliere un'immagine, allungare o accorciare un'inquadratura, oppure aggiungere o levare un'intera scena] con la moviola è possibile: si disfa la giunta dove si vuole procedere alla modifica, come da esigenze, e si rifanno le nuove giunte, che sono eseguite con apposito strumento. Dopo le modifiche apportate il montato non conserverà la stessa durata originale.

    Nella storia del montaggio, fu fondamentale l'introduzione della cosiddetta "pressa Catozzo" inventata da Leo Catozzo, uno dei montatori che lavorarono con Federico Fellini. La pressa è una giuntatrice che utilizza del nastro adesivo per unire i due lembi di pellicola. Viene utilizzata ancora oggi dai proiezionisti per unire i rulli in cui è divisa la pellicola prima della proiezione.

    Nella pratica moderna, si va sempre più diffondendo un montaggio off-line, cioè usando sistemi video su cui sono stati riversati i girati, oppure un procedimento interamente digitale eseguito in maniera "non lineare", utilizzando dei software specifici (come alcuni di quelli prodotti da Avid, Final Cut o Premiere): si può procedere ad assemblare il film con grande libertà, limando ed aggiustando progressivamente il risultato ottenuto. Tutto il materiale girato (o solo le riprese "buone"), è digitalizzato e memorizzato su hard disk, dando la possibilità di intervenire facilmente in qualsiasi punto (senza nastri o pellicole da riavvolgere in continuazione). Si ha inoltre la possibilità di effettuare più facilmente la correzione del colore, l'inserimento degli effetti speciali e la sincronizzazione della colonna sonora.

    Una via di mezzo tra moviola e montaggio non lineare è costituita dai sistemi di marcatura della pellicola, con telecinema in grado di leggere un particolare timecode impresso sul bordo della pellicola durante le riprese. Questo consente una maggiore precisione e velocità nel lavoro rispetto alla moviola, poiché il materiale viene acquisito e lavorato come se fosse nativamente digitale.

    Al termine del montaggio, qualunque sia il sistema utilizzato si ricava di solito una EDL che verrà utilizzata per tagliare direttamente il negativo e assemblare la copia per la stampa cinematografica dei positivi da proiezione. I sistemi di montaggio non lineare sono in grado di pilotare le apparecchiature di stampa per adattare così le correzioni di colore e realizzare gli effetti speciali.

    TELEVISIONE

    Tutti i videoregistatori orientati al mercato professionale offrono la possibilità di montare sia in modalità assemble che in modalità insert.
    Le centraline di montaggio possono operare sia on-line che off-line, ma in ogni caso si tratta di montaggio lineare: se si ha la necessità di inserire un'inquadratura, questa andrà inevitabilmente a sovrascrivere il montato, cancellandone di conseguenza una parte. In questo caso il montato manterrà sempre la stessa durata. Questo limite obbliga ad un metodo di procedura nell'editing più rigido. Le centraline lineari trovano ancora oggi largo impiego nelle salette di montaggio, data la natura sequenziale dell'informazione video. Per lavori di montaggio dove non si lavora con tempi stretti, e dove capita di accedere a molto materiale d'archivio che sarebbe lungo e costoso acquisire, è ancora il metodo di lavorazione più conveniente.
    L'avvento dei sistemi non lineari, in ogni caso, ha rivoluzionato gran parte del lavoro di montaggio televisivo: i sistemi di editing possono acquisire digitalmente il video nel loro formato nativo, come DV o HDV via FireWire, per produzioni economiche, oppure con schede dedicate con ingresso SDI direttamente da un videoregistratore digitale professionale, e ne preserva il formato originale, trasferendolo nel sistema senza alcun tipo di deterioramento. Tutto il lavoro di montaggio e l'effettistica viene realizzato direttamente sul sistema, ed esportato alla fine richiedendo al massimo un passaggio di rendering per gli effetti e le correzioni applicate. Una volta terminato, il filmato montato è anche già pronto per la messa in onda senza richiedere un successivo riversamento.

    LE SCELTE ARTISTICHE

    Da un punto di vista artistico, si cerca innanzitutto di dare un ritmo al film, e ciò dipende anche dal genere del film stesso: ad esempio, un film romantico avrà un montaggio meno frenetico di un film d'azione. Ovviamente si possono effettuare accelerazioni improvvise in determinate scene, e rallentamenti in altre (in base anche alla sceneggiatura e alle scelte del regista). Si cerca poi di dare forma alle singole scene, consentendo allo spettatore di cogliere il senso di ciò che sta avvenendo, lo spazio in cui è ambientata l'azione, ed il tempo impiegato per il suo compimento. Facciamo alcuni esempi di come si può procedere:

    la durata di una scena può essere allungata inserendo inquadrature secondarie, mostrando un dettaglio o un punto di vista alternativo (anche se è spesso obbligata dalla sceneggiatura e dalla lunghezza dei dialoghi);
    per mostrare lo spazio in cui si svolge la scena, può essere utile alternare campi e controcampi, in modo che lo spettatore abbia una visione più ampia dell'ambiente;
    il montaggio "alternato" è utilizzato per dare l'impressione che due azioni si stiano svolgendo nello stesso istante in due luoghi differenti: consiste nell'alternare le inquadrature girate separatamente nei due ambienti (fu inventato da David W. Griffith); mentre il montaggio "parallelo" è usato quando si vuole accostare due eventi, non necessariamente contemporanei, per mostrarne somiglianze o differenze;
    il montaggio può anche essere "in macchina", realizzato cioè con la cinepresa e non tagliando fisicamente la pellicola, fermando la ripresa per poi riprenderla in un secondo momento; oppure effettuare un piano sequenza, raccontando un'intera scena, cambi d'ambiente compresi, senza mai staccare (senza cioè interrompere la ripresa);Nel montaggio detto "interno" invece vi è una "negazione" del montaggio classico, un esempio puo' essere nel caso di una scena fissa dove il montaggio avviene alternando la profondita' di campo, Orson Welles fu maestro in questo. (Vedere Quarto Potere)
    la sceneggiatura può prevedere dei salti temporali indietro nel tempo, detti flash-back, o in avanti, detti flash-forward. Si possono realizzare in vari modi, anche con trucchi come dissolvenze e sfocature, che fanno capire allo spettatore che si sta per visualizzare un ricordo, una premonizione, un qualcosa che è già accaduto o che accadrà;
    si può effettuare anche una "ellissi", ossia una piccola omissione (pochi secondi) di ciò che sta accadendo: si mostra l'inizio di un'azione (ad esempio, un personaggio che gira la maniglia di una porta), e si stacca repentinamente per mostrare l'azione già compiuta (l'inquadratura successiva mostra il personaggio che chiude la porta essendo già dentro la stanza successiva).
    il montaggio può essere anche definito "analitico", quando suddivide uno spazio unico in inquadrature diverse.
     
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  12. mauro255
     
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    SCENOGRAFIA

    La scenografia come arte o tecnica consiste nel progettare e realizzare gli elementi scenici di uno spettacolo cinematografico, televisivo o teatrale.

    In senso concreto, dunque, una scenografia è composta da tutte le costruzioni che definiscono la scena, ovvero la porzione di spazio che deve essere inquadrata da una macchina da presa cinematografica o televisiva, o che costituisce lo sfondo di una rappresentazione teatrale. Questa terminologia può variare a seconda del contesto: set per quanto riguarda il cinema e la televisione, messa in scena o scenario per il teatro.

    La scenografia non è sempre un ambiente artificiale, ma può essere costituita anche da un ambiente naturale. In quest'ultimo caso, la scenografia potrebbe essere un paesaggio, oppure un ambiente che normalmente non è adibito ad essere ripreso (come ad esempio l'interno di una casa). Se l'ambiente è artificiale, ovvero la scenografia è ricostruita, servirà l'intervento di tecnici, come lo scenografo, il decoratore, l'arredatore e altri.

    Inizialmente, a Hollywood, si era soliti utilizzare esclusivamente scenografie artificiali, poi, con il passare del tempo, si iniziarono a sfruttare scenografie naturali per dare un tocco di realismo alle rappresentazioni: si vedano in particolare le tecniche neorealiste.

    Dall'inizio degli anni Novanta, grazie al sostanziale apporto della grafica computerizzata è nata una nuova tecnica scenografica virtuale chiamata Matte painting utilizzata prevalentemente in ambito televisivo e cinematografico.

    Nel teatro la scenografia viene più correttamente definita come messa in scena, mentre lo "spazio scenico" propriamente detto è il luogo in cui si svolge l'azione. Tradizionalmente, esso coincide con lo spazio del palcoscenico, che può essere "arredato", per aiutare spettatori e attori nell'immersione dell'opera in atto. In questo caso la scenografia può essere bidimensionale (se è costituita soltanto da dipinti su tela, disegni o fotografie) oppure plastica (se è tridimensionale, cioè se vi sono anche oggetti materiali).

    Solitamente si occupano della scenografia:

    scenografo,
    arredatore,
    aiuto scenografo,
    assistente scenografo,
    direttore allestimenti,
    direttore alle luci,
    caposcenotecnico,
    scenotecnico,
    attrezzista,
    trovarobe.
     
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  13. mauro255
     
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    CULT MOVIE


    Film culto o, in inglese, cult movie, è un'opera cinematografica che ha superato il livello del successo per arrivare a quello di notissima icona sociale, spesso al di là dei mezzi economici impiegati per produrla e malgrado il suo successo o insuccesso commerciale. Il termine si utilizza anche per indicare quelle pellicole che, pur non avendo avuto un grande successo popolare, hanno comunque un pubblico ridotto ma straordinariamente affezionato, che prova verso di esse una stima che potrebbe essere paragonata ad una "adorazione religiosa" (culto), arrivando talvolta a divenire elemento di riferimento di una generazione o di una subcultura.

    DEFINIZIONE

    Oggi il termine cult è spesso abusato: talvolta sono gli stessi uffici stampa delle case di produzione a ricercare elementi che possano rendere un certo film appetibile per una categoria "influente" di spettatori che poi, con il passaparola, fanno gradualmente convergere l'attenzione generale su un determinato prodotto. Tuttavia, i veri film culto sono definibili solo a posteriori, dopo diversi anni dalla loro uscita, e nascono in maniera del tutto spontanea, facendo emergere dall'opera un singolo elemento che rende significativa e memorabile nella storia del cinema l'intera pellicola. In caso contrario si può parlare al massimo di una moda o di una tendenza, che nella maggior parte dei casi rimane passeggera e non si trasforma in vero culto.

    Questo elemento significativo può essere, di volta in volta, un tema mai trattato prima, una tecnica innovativa, l'interpretazione di un particolare attore, un commento musicale, una singola scena o sequenza che segna un'epoca, o che sposta "in avanti" il comune senso del pudore. In genere questi tipi di film riescono a creare numerose cerchie di fan.

    FILM D'AUTORE

    Il culto più grande è sicuramente quello legato al cinema d'autore, ovvero quei film-feticcio che hanno interessato più di una generazione di cinefili. Tipici esempi di questa categoria sono Casablanca, citato da Woody Allen in Provaci ancora, Sam, o La corazzata Potëmkin, il cui culto è stato oggetto di ironia ne Il secondo tragico Fantozzi.

    FILM D'EXPLOITATION

    Per cinema d'exploitation si intende un genere cinematografico che mette da parte i meriti artistici per una estetizzazione più forte, estremizzando scene di sesso e di violenza.

    Queste pellicole stanno lentamente venendo riscoperte dalla metà degli anni novanta in poi grazie a registi come Quentin Tarantino, Takashi Miike, Robert Rodriguez ed Eli Roth, i quali hanno dato vita a un nuovo filone del cinema d'exploitation che unisce lo stile classico dei film di genere ai grandi budget delle produzioni hollywoodiane.

    Le pellicole più rappresentative di questa nuova generazione di registi sono Ichi the Killer, Kill Bill, Hostel e Grindhouse, quest'ultimo una vera e propria dichiarazione d'amore verso questo genere di cinema.


    FILM "BRUTTI"

    Notevole è poi il culto per i film "brutti", pellicole di serie B realizzate con budget ristretti e trame spesso improvvisate. Pietra miliare di questo "genere" è sicuramente Plan 9 from Outer Space e tutti i film di Ed Wood e Coleman Francis in generale.

    FILM GENERAZIONALI

    Un'altra categoria di film di culto è costituita da quelli che offrono uno spaccato generazionale, facilitando così l'identificazione soprattutto degli spettatori adolescenti: tra questi possiamo ricordare, nel passato, pellicole come Gioventù bruciata e Il seme della violenza e, in tempi più recenti, La febbre del sabato sera, Il tempo delle mele e L'attimo fuggente.

    Infine, ricordiamo tra i cult movie quei film che sono espressione di una subcultura come ad esempio Easy Rider, I guerrieri della notte, Rocky Horror Picture Show, Arancia Meccanica, The Blues Brothers ecc
     
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  14. mauro255
     
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    MISSAGGIO

    Con il termine missaggio, in campo audio, si intende l'arte di miscelare, equalizzare, ottimizzare a livello di volume, timbro e spazialita' (direzionalita' e riverberazione) suoni diversi tra loro, provenienti generalmente da strumenti diversi, precedentemente registrati su un supporto, analogico o digitale multitraccia, o direttamente dal vivo durante concerti, spettacoli teatrali e rappresentazioni.

    In genere lo strumento che permette di portare a compimento questa fase di lavorazione di un prodotto fonografico si chiama mixer. Esso permette di raccogliere le varie tracce preregistrate e convogliarle poi verso dei bus di uscita a scelta dell'ingegnere del suono, dopo che, attraverso i mezzi di controllo di cui il mixer dispone, sono stati elaborati gli eventuali filtraggi, equalizzazioni, aggiunte di effetti etc.

    Questo tipo di elaborazione viene fatta generalmente per ottenere quello che in gergo si chiama master, che sarà più o meno il disco che poi, stampato in serie, verrà destinato alla distribuzione o alla vendita.

    Tecniche di missaggio vengono anche ampiamente utilizzate dai DJ per comporre e integrare le loro selezioni musicali durante i DJ set, oppure durante le trasmissioni radiofoniche.

    Simili tecniche vengono utilizzate anche per elaborare dei remix, versioni alternative di una canzone.

    Anche nei concerti dal vivo i tecnici del suono utilizzano mixer per ottimizzare e miscelare i segnali audio provenienti da strumenti musicali o voce (in questo caso non precedentemente registrati).


    CINEMA E TELEVISIONE

    Nel cinema e nella televisione si intende per missaggio l'operazione di integrazione, fusione, o sovrapposizione, in un unico supporto della colonna sonora, dei dialoghi, delle immagini e dei suoni di un film (registrati separatamente).
     
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  15. mauro255
     
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    CASTING

    Nella produzione cinematografica, teatrale, televisiva e simili, il casting è il processo di selezione degli attori (o in generale dei partecipanti) che dovranno apparire sulla scena, a partire da una cast list, ovvero da una lista dei ruoli che dovranno essere ricoperti da tali attori, generalmente corredata da informazioni sulle caratteristiche fisiche o psicologiche richieste. La figura professionale che dirige questa attività è generalmente indicata con il termine casting director, che spesso agisce inizialmente attraverso l'intermediazione delle agenzie di management. Dopo una prima selezione da parte di tali agenzie, il casting director procede alla selezione finale avvalendosi prima di provini su parte e poi di provini di interazione (che coinvolgono rispettivamente un singolo attore o un gruppo di attori).

    Un'ulteriore modalità di provino, diffusa soprattutto in televisione, è quella del provino aperto, con uno o più giorni dedicati alla scelta degli attori, che si presentano nel luogo e all'ora stabilita senza appuntamento e vengono ricevuti in ordine di arrivo; solitamente in questo caso la parte da recitare viene distribuita all'ingresso o consegnata direttamente al momento del provino.
     
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