Miti & Leggende

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  1. DarkShaina
     
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    Tutto quello che è reale ma non è realtà....tutto quello che sembra ma non è....tutte le storie a qui credere....se ci vuoi credere ;)

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    LE LINEE DI NAZCA

    L’altopiano di nazca fu sede della omonima civiltà vissuta tra il II ed il VI secolo d.C. Un popolo, quello di nazca, che non conosceva la scrittura. Situato nel Perù meridionale, in una vasta zona desertica della pampa che si estende per circa 50 chilometri, è un terreno comunque molto fertile. Ai margini della zona in cui si trovano le misteriose linee, il popolo di nazca costruì la città religiosa di Cahuachi. Si trattava, in ogni caso, di una civilità progredita, basti pensare che il sistema di acquedotti della città è tuttora funzionante. La civiltà di nazca fiorì misteriosamente per poi scomparire in modo altrettanto inspiegabile.
    Siamo nel 1920, l'uomo si sta impossessando dei cieli. Un piccolo aereo sorvola la piana di nazca. E che cosa scopre il pilota? L’altopiano di nazca fu sede della omonima civiltà vissuta tra il II ed il VI secolo d.C. Un popolo, quello di nazca, che non conosceva la scrittura. Situato nel Perù meridionale, in una vasta zona desertica della pampa che si estende per circa 50 chilometri, è un terreno comunque molto fertile. Ai margini della zona in cui si trovano le misteriose linee, il popolo di nazca costruì la città religiosa di Cahuachi. Si trattava, in ogni caso, di una civilità progredita, basti pensare che il sistema di acquedotti della città è tuttora funzionante. La civiltà di nazca fiorì misteriosamente per poi scomparire in modo altrettanto inspiegabile. Siamo nel 1920, l'uomo si sta impossessando dei cieli. Un piccolo aereo sorvola la piana di nazca. E che cosa scopre il pilota?
    Quella zona desertica nasconde gigantesche figure stilizzate di animali, lunghissime linee rette, enormi figure geometriche. Alcuni disegni sono veramente piccoli, ma altri raggiungono i 200 metri. Per questo sono visibili solo dall'alto da una quota che il popolo di nazca non poteva certamente raggiungere. Ben tredicimila chilometri di linee, scavate poco profondamente nel terreno, diventano da quel momento "l'enigma di nazca". I disegni sono oltre 300 ed includono i profili di animali realmente presenti nella zona.
    Geometri dal passato
    Ma come furono tracciate quelle linee e perché? Nessun geoglifo, cioè nessuno di questi disegni tracciati sulla terra, presenta errori o correzioni. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che gli abitanti della zona, prima di realizzare ogni figura, la tracciassero su stoffa, riportandola poi sul terreno in una scala maggiore, con l'aiuto di corde, paletti e compassi di legno. Le linee erano realizzate rimuovendo le pietre presenti in superficie, creando cosi un contrasto con il pietrisco di colore più chiaro degli strati sottostanti e venivano probabilmente conservate proprio tramite il loro stesso uso: venivano più volte percorse, e dunque rimarcate, durante le cerimonie religiose. Sempre ammettendo che quei disegni siano stati realizzati per celebrare gli dei.
    Altre ipotesi...
    Nel 1968, Gerald Hawkins, un astronomo dell'osservatorio di Washington lesse nei disegni della piana di nazca allineamenti simili a quelli di Stonehenge. In particolare la figura nota come "il Grande Rettangolo", risulterebbe allineata con la costellazione delle Pleiadi, nell'anno 610. Datazione che coinciderebbe a quella relativa a un palo di legno ritrovato nel luogo, ottenuta col metodo del carbonio 14.
    Calcoli effettuati al computer dimostrerebbero però che questo fatto rientra in una statistica di casualità. Come spesso accade in questi frangenti, c'è sempre chi tira in ballo gli extraterrestri. L'unica certezza è che, ancora oggi, questo luogo rappresenta un enigma che si perde nei secoli passati.
    II mistero del ragno
    Una delle figure più enigmatiche di nazca è il il "Ragno". Rappresenterebbe un insetto di sei millimetri caratteristico dell'Amazzonia, dotato di una rara caratteristica: nei maschi l'organo genitale è una escrescenza appuntita situata sulla terza gamba, visibile solo al microscopio. Il gigantesco ragno di nazca avrebbe questa caratteristica. A questo punto ci troviamo di fronte a un duplice enigma: perché è stato rappresentato un ragno che vive lontano da quelle terre e, soprattutto, come facevano a sapere del caratteristico apparato riproduttivo, non disponendo di uno strumento come il microscopio? Il ragno è un simbolo comune a molte civiltà antiche, alcuni studiosi pensano che rappresenti la costellazione di Orione.


    E questo è solo l'inizio.....
     
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  2. DarkShaina
     
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    LA COMBUSTIONE UMANA SPONTANEA

    Nella serata di domenica 1° luglio 1951 la signora Mary Reeser, settantasette anni, si sentiva particolarmente depressa e se ne stava sola accoccolata sulla sua poltrona preferita concedendosi una sigaretta. Verso le 21 la sua colf, signora Pansy Carpenter, le aveva dato un veloce saluto di buonanotte e si era ritirata nella sua cameretta. La Reeser però le aveva detto di non avere sonno e che si sarebbe goduta ancora un pò di quella calda notte di St.
    Petersburg, in Florida. Alle 5 del mattino la signora Carpenter si era svegliata di soprassalto, fortemente disturbata da un acre odore di fumo.
    Pensando alla pompa dell'acqua surriscaldata - cosa che a volte succedeva - era scesa in garage per disattivarla e quindi era tornata a dormire. Ma alle 8 in punto si era di nuovo svegliata. Questa volta era il postino, che recapitava un telegramma per la signora Reeser. Firmata la ricevuta, la Carpenter si era affrettata verso la camera della padrona. Aprendo la porta, aveva notato con grande sorpresa che il pomello era caldo, al punto da non poterlo girare. Allora si era affacciata alla finestra e aveva chiesto aiuto a due decoratori che stavano lavorando appena al di là della strada. Entrato in casa, uno di loro, messo uno straccio ripiegato sul pomello, aveva spalancato la porta. La stanza sembrava vuota, né si notavano segni d'incendio. Poi la Carpenter aveva notato un grosso buco nel tappeto, proprio nel punto in cui un tempo stava la poltrona. Perché non ne erano rimasti che pochi brandelli. Nel bel mezzo spiccava un teschio umano, ridotto alla grandezza di una palla da baseball e un grosso frammento di fegato, attaccato a una vertebra. Accanto c'era un piede ancora infilato in una pantofola di raso. Uno spettacolo raccapricciante.
    La povera signora Reeser era la vittima di un inquietante e misterioso fenomeno: la combustione umana spontanea, di cui sono noti alcune centinaia di casi. Ciò malgrado, nel loro testo guida Medicina forense, i dottori S.A. Smith e F.S. Fiddes si peritano di asserire con sicumera: «La combustione umana spontanea non può verificarsi, dunque non esiste alcuna motivazione per cui se ne debba parlare in questo contesto». Ecco un esempio tipico di ottusità, in cui la scienza denigra e rinnega ciò che non si allinea alla sua aspettativa, ciò che esce dal quadro canonico che essa si è fatto della realtà fisica. Si tratta della stessa cecità che spinse il pur grande chimico Lavoisier a negare l'esistenza dei meteoriti.
    Il caso della povera signora Reeser merita la citazione perché viene anche ricordato dall'esimio professor John Taylor nel suo libro Science and thè Supernatural, un libro che si prefigge di scardinare il paranormale, una piaga che, secondo Taylor, altro non fa che dare credito a eventi che non posseggono nulla di scientifico. Ciò premesso e continuamente sottinteso, tuttavia Taylor è praticamente costretto dall'evidenza ad ammettere l'esistenza di alcuni fatti singolari «ragionevolmente convalidati» che la scienza stenta a spiegare e fra questi, appunto, ricorda quello della signora Reeser.
    Ventinove anni dopo, nell'ottobre del 1980, un caso di combustione spontanea viene osservato da vicino. Ne è protagonista un pilota, donna, la signora Jeanna Winchester. Mentre sta viaggiando in auto lungo la Seaboard Avenue di Jacksonville, in Florida, in compagnia di un caro amico, Lesile Scott, tutto di colpo, il suo corpo si incendia come dal nulla. La donna, terrorizzata, grida di farla scendere subito dalla macchina. Scott, ancor più spaventato, lascia il volante e tenta disperatamente di spegnere le fiamme con le mani. L'auto, intanto, si schianta contro un palo del telegrafo. Al centro ustionati, si appura che oltre il 20% del corpo della donna è ustionato in modo grave. Per sua fortuna, Jeanna sopravvive.
    Nel 1976 Michael Harrison ha pubblicato un libro sul fenomeno. Si intitola Pire from Heaven, vi vengono citati dozzine di casi, da dove si evince una delle peculiarità più singolari della combustione spontanea, vale a dire che essa quasi mai si estende oltre il soggetto aggredito dal misterioso fuoco. Il lunedì di Pentecoste del 1725 nella città francese di Reims, Nicole Millet, moglie del proprietario della locanda "Leon d'oro", viene trovata bruciata su una poltrona rimasta intoccata. Il marito viene accusato di omicidio. Ma un giovane chirurgo, il dottor Claude-Nicholas Le Cat, tanto fa da riuscire a convincere la giuria che in realtà la combustione umana spontanea è possibile. Il Millet viene così graziato e il verdetto mutato: la donna era stata "visitata dal fuoco divino". Il caso ispira un ricercatore francese, Jonas Dupont, il quale si ripromette di raccogliere tutta la casistica disponibile su questo inesplicabile fenomeno. Frutto del suo impegno è il volume intitolato De incendiis corporis humani spontaneis, dato alle stampe a Leida nel 1763.
    Un altro celeberrimo caso di questo periodo è quello della contessa Cornelia dei Bandi di Cesena, sessantadue anni, ritrovata sul pavimento della camera da letto dalla sua dama di compagnia. Anche in questo caso uno spettacolo orribile: sulle gambe rimaste intatte, c'era la testa mezza bruciacchiata, tutto il resto del corpo era stato divorato dalle fiamme, ridotto in cenere, mentre nell'aria fluttuavano polveri impalpabili. Il letto si era preservato. Le coperte erano discoste, come se la poveretta avesse tentato di correre alla finestra, invano, perché le fiamme l'avevano istantaneamente divorata, lasciandola in piedi, così che la testa le era caduta sul troncone delle gambe, il resto del corpo miseramente distrutto. Al contrario della moglie del taverniere Millet, la contessa Cornelia non amava bere. (Una delle ipotesi più diffuse che in quel momento storico veniva proposta per spiegare la combustione spontanea chiamava in causa la presenza di una ingente quantità di alcol nel corpo del malcapitato).
    Nel XIX secolo sono due gli scrittori famosi che ricordano il fenomeno. Il primo è il capitano Marryat, il quale prendendo spunto da un articolo comparso sul «Times» nel 1832, fa morire in tal modo Jacob Faithful, l'eroe del suo omonimo romanzo, ridotto nel letto a «un mucchietto maleodorante di cenere». Vent'anni dopo, nel 1852, è la volta di Charles Dickens in Casa desolata far morire di combustione spontanea l'odioso ubriacone Krook, ridotto a un cumulo di cenere, come un ciocco da camino consumato. G.H. Lewes, l'amante di George Eliot, prendendo proprio spunto dal romanzo di Dickens dichiara che la combustione spontanea non esiste. Di rimando, Dickens nella sua prefazione al romanzo lo contraddice, citando la bellezza di trenta casi comparsi sui giornali. Ciò malgrado, alla fine del pezzo sul personaggio di Krook nella sua Enciclopedia dickensiana (1924), l'autore Arthur L. Hayward afferma in modo dogmatico: «L'eventualità del fenomeno delle combustione umana spontanea è stata finalmente e per sempre rinnegata». Peccato che Hayward non precisi in virtù di quale esperimento sia approdato a una tale certezza.
    Il libro di Harrison, un interessante insieme di risultati di varie ricerche, non lascia adito a dubbi in merito alla realtà del fenomeno della combustione umana spontanea. Ma che cosa la provoca? Molto correttamente, egli riconosce l'impossibilità di offrire una risposta logica, tuttavia offre alcuni spunti di considerazione. Harrison cita lo studio di un dottore americano, Mayne R. Coe junior, interessato alla telecinesi, il potere della mente sulla materia. Lo stesso Coe era capace di far ondeggiare delle sottili strisce di alluminio infilate sulla punta di aghi mettendoci sopra la mano: non ci pare nulla di particolare, visto che si tratta senza dubbio di una qualche forma di energia fisica magnetica. Poi, con l'intento di sviluppare la sua bioelettricità, Coe era passato allo yoga. Un giorno, mentre se ne stava tranquillamente seduto in poltrona, era stato percorso da una forte scossa elettrica che, partendo dalla testa, gli aveva attraversato tutto il corpo scaricandosi dai piedi, per sua fortuna una corrente a alto voltaggio ma a bassa intensità. Si era reso conto di possedere un notevole potenziale. Appesa al soffitto tramite un cordino una scatola di cartone leggero, se la stanza in cui sperimentava era asciutta e secca, si era reso conto di poterla fare ondeggiare lievemente operando a distanza, semplicemente volendolo. Nel corso di un altro esperimento si era "caricato" con una corrente continua a 35.000 volt, scoprendo che, in quelle condizioni, gli riusciva di far muovere la scatola allo stesso modo. Tutto questo, per dimostrare che durante i suoi esercizi mentali produceva una corrente elettrica ad alto voltaggio. In un'altra occasione, mentre si trovava in volo a più di 6000 metri, con l'aria estremamente secca, dopo essersi fatto "caricare" con 35.000 volt in corrente continua, dal suo corpo si erano sprigionate delle scintille. Secondo Coe, questo poteva spiegare il fenomeno della levitazione - quando lo yogi in stato meditativo si solleva nell'aria - dove il corpo umano che rappresenta la carica positiva viene respinto dalla superficie terrestre a carica negativa.
    Harrison menziona altri casi di uomini che si comportano come vere e proprie "batterie" viventi, persone "calamità" (sovente si tratta di bambini) capaci di sviluppare una carica elettrica incredibile. Nel 1877 si ricorda il caso di Caroline Giare di Londra, nella regione dell'Ontano, vera calamità umana in grado di attirare gli oggetti metallici e dare una scossa per nulla leggera fino a venti persone in catena fra loro tenendosi per mano. All'epoca dei misteriosi fenomeni, la giovane soffriva di turbe adolescenziali. Frank McKinistry, di Joplin nel Missouri, in alcuni momenti esercitava una forza magnetica così potente da non essere in grado di staccare i piedi da terra. Restava impalato sul posto, come inchiodato. Al 1895 risale invece il caso della quattordicenne Jennie Morgan di Sedalia, Missouri, in grado di generare un potenziale elettrico così forte da mettere al tappeto un uomo di grande corporatura. Sovente, quando toccava o anche solo sfiorava degli oggetti metallici, dai polpastrelli si sprigionavano delle vere e proprie scariche con tanto di scintille. In questo contesto, vale ricordare che molti adolescenti al centro di fenomeni di poltergeist associano a queste manifestazioni anche la capacità di sviluppare potenzialità magnetiche ed elettriche. Le cronache francesi del 1846 riportano il caso di una ragazza di nome Angélique Cottin divenuta una vera batteria elettrica umana. C'erano volte in cui gli oggetti da lei toccati schizzavano via violentemente e una volta un pesante telaio di legno di quercia si era messo a "ballare" non appena Angélique si era avvicinata. Invece Esther Cox, di Amherst, nella Nuova Scozia, ritenuta il "fuoco" attorno al quale si manifestavano strani fenomeni paranormali, possedeva un tale magnetismo da attirare posate e coltelli anche da notevole distanza. Sembra si presentino due tipi di cariche, negativa e positiva.
    Secondo il dottor Coe, ogni cellula dei muscoli dell'uomo è assimilabile a una piccola batteria e un solo centimetro cubico può sviluppare non meno di 400.000 volt. (Il geniale inventore Nikola Tesla era solito dimostrare che il corpo umano è in grado di raccogliere un immenso potenziale di cariche elettriche - sufficiente a innescare la luminosità di una lampada al neon - a condizione, ovviamente, che l'intensità della corrente sia bassissima).
    Ma anche questo non sembra fornire una spiegazione plausibile per la combustione umana spontanea, anche perché il punto cruciale delle dimostrazioni di Tesla consiste nel fatto che tutto questo accade senza sprigionamento fiamma. Ciò che la innesca è l'intensità. (Provate, con le giuste cautele, a collegare fra loro con un cavo normale due batterie d'auto a 12 volt; in un attimo il filo si fonde e se vi procurate un cavo a sezione maggiore lo sentirete ber presto caldo). Questo spiegherebbe come mai tutto ciò che sta attorno a una povera vittima di combustione spontanea non risulta danneggiato, semplicemente perché non trattandosi di conduttori non si verifica un passaggio di corrente.
    Il fenomeno della combustione spontanea sembra non fare differenza fra le vittime, che possono essere sia persone anziane che giovani. Il 27 agosto 1938, a Chelmsford, Essex, mentre stava danzando con grande energia, la ventiduenne Phyllis Newcombe aveva incominciato molto stranamente a brillare di una luminosità azzurrognola e dopo un attimo si era trasformata in una torcia umana, morendo in pochi minuti. Nell'ottobre dello stesso anno, una ragazza di nome Maybelle Andrews, mentre stava allegramente danzando in un night di Soho con il suo ragazzo, Billy Clifford, si era incendiata spontaneamente, con le fiamme che si erano sprigionate dalla schiena, dal petto e dalle spalle. Il ragazzo, seriamente ustionatosi nel tentativo di aiutarla, testimoniò che in quella sala non c'era alcuna fiamma libera e che il rogo si era scatenato fuoriuscendo dal corpo della povera Maybelle. Mentre la stavano portando al pronto soccorso la giovane era morta. In casi come questi è evidente che la frenetica attività danzante sembrerebbe essere la causa scatenante del misterioso fenomeno, innescando elettricità di natura statica. Michael Harrison, in proposito, sottolinea come la "danza rituale" a cui ricorrono le tribù primitive serva appunto per riscaldare l'atmosfera e far crescere la tensione. A suo parere è proprio ciò che succede in questi casi.
    Sempre Harrison mette in evidenza una curiosità legata a collegamenti geografici. Il 13 marzo 1966 tre uomini morirono contemporaneamente di combustione spontanea. John Greeley, il timoniere della nave Ulrich, venne ridotto in cenere a pochi chilometri a ovest di Fiùsterre; a Upton-by-Chester, il camionista George Turner, venne trovato carbonizzato vicino a una ruota del suo camion, che era scivolato in un fosso; a Nimega, in Olanda, il diciottenne Willem ten Bruik era morto arso vivo accanto alla sua macchina. Come accade in questi casi, tutto ciò che stava attorno vittime non aveva riportato alcuna bruciatura. Harrison osserva che al momento della loro misteriosa morte i tre malcapitati si trovavano ai vertici di un triangolo equilatero, dal lato lungo circa 550 km. Come poter escludere che la superficie terrestre non emetta essa stessa delle scariche di energia elettrica, secondo uno sconosciuto schema triangolare?
    Un altro ricercatore, Larry Arnold, ha espresso le sue ipotesi nel numero di gennaio del 1982 della rivista «Frontieriof Science». Si tratta della teoria detta delle ley lines, correnti di energia tellurica che solcano la superficie terrestre. Alfred Watkins, l'uomo a cui si deve la scoperta di queste linee, fa notare come proprio lungo queste linee ricorrano moltissimi punti brent, un vocabolo che nell'antico inglese significa "linciato". Altri "cacciatori di ley lines" suggeriscono che i grandi cerchi megalitici di pietre starebbero proprio a ridosso di nodi ley cruciali, nei punti in cui più linee telluriche energetiche si incrociano. Viene spontaneo, a questo punto, notare come quasi sempre ai cerchi di pietre si associ la tradizione della danza: pensiamo a Merry Maidens in Cornovaglia oppure alla stessa Stonelenge, popolarmente nota col nome di "Danza dei giganti". Storici e studiosi affermano che questi luoghi erano dedicati alle danze sacre proprio perché i danzatori, trovandosi a ridosso delle linee di forza, potessero caricarsi di energia tellurica. A Larry Arnold dobbiamo la redazione di almeno una dozzina di interessanti mappe di leys in Inghilterra, molti ti quali associati con misteri collegabili al fuoco. Secondo Arnold esiste una "linea di fuoco" (così ama chiamarla) lunga circa 650 km che tocca cinque città dove si verificarono ben dieci casi di misteriosi fuochi. Ma non basta. Sempre in queste zone si sarebbero verificati eventi di combustione spontanea, con una frequenza per lo meno sospetta. A corroborare la sua tesi cita quattro casi di combustione umana spontanea verificatisi fra il 1852 e il 1908. Harrison è convinto che il misterioso fenomeno della combustione umana sia da ricondursi a una bizzarria della mente. Una sorta di corto circuito, in cui la mente in qualche modo influenza il corpo, inducendolo a cariarsi di un potenziale elettrico assolutamente anomalo. La risposta potrebbe trovarsi in ciascuna di queste due ipotesi, oppure, come sostiene qualcuno, in una combinazione di ambedue.
     
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  3. DarkShaina
     
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    La grande esplosione di Tunguska
    II 30 giugno del 1908 gli abitanti di Nizhne-Karelinsk, un piccolo villaggio nel cuore della Siberia, spaventati e affascinati, videro una vivida striscia bluastra solcare il cielo di nordovest a folle velocità. Quello che all'inizio era sembrato un solo punto luminoso si era mantenuto tale per non più di dieci minuti, poi si era spaccato in due. All'impatto con la Terra la "cosa" aveva sollevato una intensa e spessa coltre di fumo e detriti. Qualche secondo ancora e c'erano state delle violente detonazioni che avevano fatto tremare le case.
    Credendo fosse arrivato il giorno del giudizio divino, molti si erano gettati a terra in ginocchio, implorando il perdono di Dio.
    A posteriori, si deve tutto sommato riconoscere che non si trattò di una reazione spropositata, dal momento che quella gente terrorizzata aveva assistito alla più grande catastrofe naturale rovesciatasi sul pianeta che la storia ufficiale ricordi. Se l'oggetto che provocò l'evento - che noi oggi siamo soliti definire "la grande esplosione siberiana" - fosse sopraggiunto solo poche ore prima o dopo avrebbe potuto impattare in qualche regione abitata e popolosa provocando danni e distruzioni neppure immaginabili.
    Come si venne poi a sapere a seguito delle vaste indagini, il villaggio di Nizhne-Karelinsk distava quasi 400 km dal punto dell'urto, tuttavia i tetti delle case avevano abbondantemente tremato, scrollandosi di dosso la polvere del tempo. Il treno della Transiberiana si era fermato, perché il conducente aveva avuto l'impressione che fosse deragliato; mentre i sismografi della cittadina di Irkutsk, segnalavano senz'altro un terremoto di vaste e potenti dimensioni. E pensare che sia la città sia il treno in quel momento distavano circa 1200 km dall'epicentro del fenomeno.
    Qualunque cosa sia stata a cadere nella regione siberiana, era esplosa sprigionando un'energia strepitosa. Le onde d'urto avevano fatto due volte l'intero giro del pianeta prima di acquietarsi e gli effetti meteorologici sull'emisfero settentrionale ebbero strascichi a lunga gittata oltre che singolari. Per tutta la restante parte del mese di giugno, per esempio, a mezzanotte a Londra si potevano leggere con tutta tranquillità gli articoli del «Times», notoriamente scritti in caratteri a dir poco minuscoli. Sui quotidiani circolavano fotografie notturne di Stoccolma che sembravano scattate di giorno ed invece erano state prese nel cuore della notte senza alcun altro ausilio, vale a dire utilizzando la luce naturale; ma anche celebre era diventata l'immagine della città russa di Navrochat scattata a mezzanotte e limpida e chiara come una qualsiasi presa in un bel pomeriggio estivo.
    Per alcuni mesi il mondo intero potè assistere a tramonti e aurore spettacolari, almeno tanto belle e impressionanti quali quelle generate dal vulcano Krakatoa a seguito della spettacolare esplosione del 1883. Da qui, oltre alle solite immense nubi vulcaniche, si era sollevata nell'atmosfera terrestre una grande quantità di polvere, come avviene nelle esplosioni nucleari.
    Ma la cosa più singolare di questo evento sta nel fatto che all'epoca non ci fu nessuno che gli prestò attenzione. Nei giornali locali erano comparsi alcuni trafiletti, ma al di là di questo non era successo null'altro. I meteorologi si interrogavano sugli strani fenomeni celesti e climatici, ma a nessuno venne in mente di risalire alla vera causa di tutto quel pandemonio.
    Fu solo dopo la fine della prima guerra mondiale e dopo che l'impero zarista era stato rovesciato dalla rivoluzione che lo straordinario evento venne finalmente portato all'attenzione del mondo della scienza e della ricerca. Nel 1921, come parte del piano più generale previsto da Lenin per collocare in prima fila nel campo scientifico la sua Russia davanti agli occhi del mondo, l'Accademia sovietica delle Scienze assegnò al professor Leonid Kulik il compito di investigare in modo appropriato sulle precipitazioni di meteoriti sul territorio russo. Kulik fu il primo, dunque, a cercare di ricostruire ciò che era accaduto. Dopo aver messo insieme i pochi rapporti giornalistici redatti all'epoca, si era senz'altro convinto che qualcosa di veramente importante doveva essere accaduto nel cuore della Siberia in quella estate del 1908.
    I rapporti e i resoconti raccolti suonavano però contraddittori e confusi. Non ce n'erano due che concordassero sull'esatto punto dello schianto. In alcuni, invece, si diceva che il meteorite era stato persine trovato. Insomma, una grande confusione. Tuttavia, quando i suoi collaboratori avevano incominciato a raccogliere testimonianze, Kulik aveva trovato nuovamente conferma dell'eccezionalità del fenomeno. Doveva indagare, assolutamente, perché non si trattava di un "normale" meteorite.
    Tutti i rapporti erano per lo meno concordi su di un aspetto: quando l'oggetto si era schiantato al suolo, aveva creato un cratere enorme, dal quale si era innalzata una colonna di fumo e fuoco ardente più del Sole stesso. Capanne distanti erano state spazzate via e le mandrie di renne si erano disperse terrorizzate. Un uomo, intento ad arare nel suo piccolo campo, aveva avvertito un forte calore sulle spalle, mentre altri dichiararono di aver subito delle evidenti scottature sul viso, ma solo da un lato. Altri erano diventati temporaneamente sordi per il gran frastuono ed altri ancora avevano riportato per un lungo periodo i segni degli effetti termici legati al misterioso fenomeno. Ciò malgrado, molto stranamente, non si aveva avuto notizia di vittime o di persone ferite in modo serio. La "cosa" piombata dal cielo aveva scelto uno dei rari luoghi del pianeta in cui gli effetti della sua caduta sarebbero stati contenuti e non catastrofici. Si fosse presentata all'impatto con la Terra qualche ora più tardi, si sarebbe schiantata su San Pietroburgo, Londra o New York. Anche se fosse sprofondata nell'oceano, le gigantesche ondate che si sarebbero sollevate avrebbero devastato e cancellato dalla faccia della Terra tutte le zone costiere. Insomma, quel fatidico giorno l'umanità aveva corso il rischio del più terrificante disastro della Storia e non se n'era neppure resa conto.
    Dopo tanto cercare, però, alla fine Kulik era riuscito a mettere le mani sul rapporto di un meteorologo locale, il quale, bontà sua, si era preoccupato di segnare le coordinate del punto di impatto. Ricevuta conferma dall'archivio dati dell'Accademia delle Scienze, il professore aveva così potuto organizzare la spedizione e muoversi per raggiungere il luogo dell'impatto con la necessaria cognizione di causa.
    L'immensa foresta siberiana è uno dei luoghi più desolati di tutto il pianeta. Ancora oggi è in gran parte inesplorata e ci sono zone che l'occhio umano ha solo visto dall'alto, tramite ricognizioni aeree. I pochi insediamenti esistenti sono tutti raggruppati lungo le rive dei grandi fiumi, alcuni tanto larghi da non riuscire a occhio nudo a guardare da una sponda all'altra. Gli inverni sono gelidi, mentre in estate il terreno si fa paludoso e l'aria è infestata da sciami di insetti. Kulik era atteso da un'impresa molto difficile. L'unica possibilità per muoversi erano cavalli e muli oppure zattere per spostarsi lungo i fiumi, senza, per di più, sapere dove andare a parare o che cosa cercare esattamente.
    Nel marzo del 1927 Kulik era dunque pronto. Nel gruppo c'erano anche due guide locali che dicevano di aver assistito all'evento. Dopo non poche traversie, ad aprile, la spedizione era approdata sul fiume Mekirta, il corso d'acqua più vicino al punto dell'impatto, all'epoca una sorta di barriera naturale fra la foresta intoccata e vergine e una devastazione pressoché totale. Raggiunto finalmente il posto della catastrofe, per prima cosa Kulik era salito su di una vicina altura per osservare la zona dall'alto. Per quanto gli riusciva di spingere lo sguardo lontano in direzione nord - una distanza di quasi venti chilometri - non si scorgeva un solo albero rimasto in piedi. Erano stati tutti atterrati dall'esplosione e ora giacevano distesi come tanti soldatini abbattuti, tutti rivolti verso di lui. Era inoltre chiaro che lo spettacolo che stava osservando era soltanto una parte della totalità della devastazione, visto che a perdita d'occhio gli alberi risultavano tutti coricati, allineati nella medesima direzione. La catastrofe doveva essere stata ben più grande di quanto anche i rapporti più generosi avevano riportato.
    Quando Kulik aveva deciso che si sarebbe perlustrata l'intera zona devastala, le due guide si erano spaventate e avevano rifiutato di seguirlo. Anzi minacciavano di lasciare il luogo, abbandonandolo al suo destino. Era stato costretto a tornare indietro e soltanto in giugno era riuscito a tornare sul posto con due nuove guide.
    La spedizione era quindi entrata in azione. Per alcuni giorni la carovana si era spostata lungo la traiettoria indicata dagli alberi caduti, poi aveva raggiunto un grande anfiteatro in mezzo alle colline e qui era stato collocato il campo base. I giorni successivi Kulik li aveva impegnati a monitorare la zona, arrivando a concludere che quello era il grande cratere, il centro dove si era scatenato l'inferno dell'impatto. Tutto attorno, gli alberi giacevano a terra la punta rivolta verso l’esterno, mentre se n’erano preservati alcuni gruppi incredibilmente rimasti dritti. Proprio nel centro del grande cratere, molti alberi erano rimasti in piedi, anche se spogli e carbonizzati. Adesso l'immensità della devastazione cominciava ad apparire in tutta la sua interezza, se solo si considerava che dalle sponde del fiume al centro del cratere correvano la bellezza di 60 km. In altre parole, l'impatto aveva devastato un'area di foresta superiore a 10.000 km quadrati. Sempre lavorando sull'ipotesi che la catastrofe fosse stata provocata da un gigantesco meteorite, Kulik si era messo a ricercarne i resti, credendo di averne trovata traccia quando si era imbattuto in una serie di cavità piene d'acqua che egli riteneva causate dai frammenti del meteorite esploso nell'impatto. Ma quando alcune di quelle cavità erano state prosciugate si erano rivelate desolatamente vuote. Una presentava sul fondo addirittura dei ceppi d'albero, prova evidente che non poteva essere stata provocata dall'impatto con un blocco meteorico. Kulik era destinato a compiere ben quattro spedizioni nella zona dell'esplosione e fino alla morte rimase convinto che si era trattato di un gigantesco meteorite, anche se non rintracciò mai i frammenti di ferro e roccia che avrebbero in qualche modo confermato la sua teoria. Perché, alla resa dei conti, malgrado i tanti sforzi, Kulik non riuscì a dimostrare che qualcosa aveva impattato il terreno. Si notava il segno di almeno due onde esplosive - quella vera e propria e quella balistica - ma non si poteva riconoscere un cratere impattivo vero e proprio.
    Quella nuova evidenza non faceva che rafforzare il già fitto mistero. Da una ricognizione aerea effettuata nel 1938 si rilevò che in verità soltanto 2.000 km quadrati di foresta erano stati abbattuti e che il punto centrale della zona disastrata era chiaramente segnato dalla singolare presenza di alcuni alberi conservatisi misteriosamente in piedi. Questo particolare rispondeva allo schema distruttivo tipico dell'esplosione di una bomba piuttosto che a quello di un meteorite, tipo quello che a Winslow, in Arizona, ha lasciato dietro di sé un cratere profondo più di 200 m. Anche il modo in cui l'oggetto era precipitato sulla Terra era in discussione. Oltre settecento testimoni riferirono che ad un tratto aveva cambiato rotta. La direzione originale, infatti, l'avrebbe portato a precipitare nei pressi del lago Baikal, ma ciò non era avvenuto per via del mutamento di traiettoria. Non esiste alcun corpo celeste in grado di manovrare mentre precipita, né è possibile ai fisici spiegare come potrebbe farlo, pur mettendo in campo tutte le teorie conosciute.
    Un altro effetto degno di nota derivato dalla catastrofe è quello esercitato sugli alberi e sugli insetti della zona colpita. Gli alberi che non erano stati abbattuti avevano però interrotto la crescita o, al contrario, si erano sviluppati in modo rapido e anomalo. Studi zoologici hanno rivelato la presenza di nuovi tipi di formiche e insetti, esseri viventi tipici soltanto della regione di Tunguska dopo l'incidente.
    Non erano trascorsi che pochi anni da quando il professor Kulik era morto in un campo di concentramento tedesco, che anche i Giapponesi ebbero modo di sperimentare analoghi, ma ancora più terribili, effetti simili a quelli dell'esplosione di Tunguska con la distruzione delle città di Hiroshima e Nagasaki a causa della bomba atomica.
    Le conoscenze di cui disponiamo ci aiutano a chiarire in parte il mistero che lauto ha angustiato il povero professor Kulik. La ragione dell'assenza del cratere d'impatto è dovuta al fatto che l'esplosione non è avvenuta a terra ma in aria, proprio come capita con la bomba atomica. La conferma viene dagli alberi mantenutisi eretti proprio nel cuore del cratere. Anche nelle due città giapponesi disintegrate dalle bombe le case direttamente collocate sotto la linea d'arrivo degli ordigni non sono crollate, dal momento che la spinta d'urlo dell'esplosione è radiale, si espande cioè verso l'esterno. Le numerose mutazioni genetiche osservate nella flora e nella fauna giapponese locale sono le stesse constatate in Siberia, mentre le piaghe rintracciate con alta frequenza nei cani selvatici e nelle renne della zona di Tunguska possono oggi essere riconosciute come bruciature prodotte da radiazioni.
    Un'esplosione atomica produce forti disturbi nel campo magnetico terrestre e ancora oggi tutto il territorio interessato rivela una situazione di "caos magnetico". Sotto questo profilo, è più che evidente come quel lontano giorno di giugno un vero e proprio cataclisma elettromagnetico si sia scaricato sulla superficie del nostro pianeta, alterando e modificando in modo evidente il naturale campo magnetico terrestre locale.
    Le testimonianze oculari che parlano di una grande nuvola, ancora una volta inducono a pensare ad un marchingegno nucleare, anche perché una delle descrizioni ricorrenti era proprio quella di una "grande nuvola a forma di fungo". Sfortunatamente però, il particolare conclusivo che avrebbe definitivamente bollato come veritiera la teoria nucleare non corrisponde: da quando, circa cinquant'anni orsono, sono stati misurati per la prima volta i livelli di radioattività non sono mai andati incontro a mutamenti o variazioni di alcun genere.
    Investigazioni successive hanno dimostrato che Kulik si sbagliava nel ritenere i crateri provocati dall'impatto al suolo dei grossi blocchi in cui il meteorite si era frantumato al contatto con la superficie. Non erano stati frammenti rocciosi a crearli, bensì enormi blocchi di ghiaccio che si erano aperti la strada nel terreno e che durante l'estate si erano poi sciolti. L'immensa fatica compiuta dalla spedizione Kulik per svuotare alcune di queste cavità era stata per davvero un'impresa ciclopica quanto del tutto inutile. Sfortunatamente, nessuna fra le molte spedizioni sovietiche - ma anche americane - ha gettato un minimo di luce sulla causa che ha provocato questo immane sconvolgimento. I fautori degli UFO non hanno dubbi nel sostenere che l'oggetto misterioso era in realtà un'astronave aliena, sospinta da energia atomica, sfuggita al controllo dei suoi piloti al momento dell'ingresso nella nostra atmosfera. Qualcuno si è spinto anche oltre, affermando che la vera meta dell'astronave era il lago Baikal dove potersi rifornire di acqua per il raffreddamento dei reattori nucleari; solo che questi si erano surriscaldati troppo e prima di raggiungere le acque del lago erano esplosi.
    Ovviamente, gli scienziati respingono ipotesi come queste che ritengono frutto di una fantasia troppo spigliata. Ma quella che segue non è certo da meno. Secondo i professori A. A. Jackson e M.P. Ryan della Università del Texas, la causa della deflagrazione sarebbe stato un piccolo buco nero, una sorta di potente vortice spaziale che scaturisce dal collasso totale delle particelle interne all'atomo. Questo buco nero in miniatura avrebbe trapassato tutta la Terra per uscire dall'estremità opposta. L'ipotesi deve aver impressionato non poco i Russi, se è vero che tra le molte ricerche ne avviarono anche una per verificare se in quel fatidico 1908 erano stati registrati dalla stampa strani fenomeni in territori dall'altra parte del mondo. Non essendo emerso nulla, la spiegazione sul mistero di Tunguska proposta da Jackson e Ryan sembra non reggere.
    Altri ricercatori statunitensi chiamano in causa l'antimateria, uno speciale tipo di materia composta da particelle caratterizzate da cariche elettriche contrarie e opposte a quelle che contraddistinguono la materia normale, quella che conosciamo. Al contatto con la materia, l'antimateria esplode e genera un processo di annichilimento, lasciandosi dietro soltanto tracce di radiazioni atomiche. Un'ipotesi interessante, ma solo a livello teorico, dal momento che, al pari della precedente, non esiste una sola, seppur piccola, prova che la corrobori.
    Lievemente più accettabile - per quanto, anch'essa, improbabile - risulta invece la teoria di uno studioso inglese, Frank Whipple secondo la quale la Terra si scontrò con una cometa. Ancora oggi gli astronomi non sanno come si formano le comete. Le due principali obiezioni alla ipotesi della cometa sono che non avrebbe potuto scatenare una esplosione nucleare e gli astronomi avrebbero potuto scorgere il suo approssimarsi al pianeta con largo anticipo. I sostenitori di questa visione affermano che una cometa che puntasse dritta verso la Terra in perfetto allineamento col Sole difficilmente sarebbe osservabile e la sua esplosione potrebbe generare effetti simili a quelli determinati dalle tempeste solari, con un'alta produzione di radioattività. Nessuno degli oltre centoventi osservatori astronomici consultati dagli scienziati russi ha però segnalato di avere nei propri archivi qualche registrazione a proposito dell'avvicinarsi di una cometa che potrebbe identificarsi con la "cosa" di Tunguska.
    Più recentemente, si è osservato che l'esatto giorno in cui si è verificata la catastrofe era il 30 di giugno. Ogni anno, come gli astronomi ben sanno, proprio in questo giorno l'orbita terrestre viene interessata dall'incrocio con la scia di una cometa detta Beta Taurids, fenomeno che da origine a uno spettacolo di pirotecnica celeste, un vero e proprio "show di meteoriti". Se una di queste, particolarmente grande, superata la barriera d'attrito causata dall'ingresso nell'atmosfera, si fosse schiantata sulla superficie del nostro pianeta, la sua parte esterna miscelandosi con quella interna ghiacciata si sarebbe sciolta istantaneamente per solidificarsi subito dopo in grossi blocchi di durissimo ghiaccio. Se fosse andata per davvero così, ebbene il buon Kulik, dopo tutto, non avrebbe poi tanto sbagliato, anche se, non lo dobbiamo dimenticare, non gli riuscì in alcun modo di mettere insieme neppure uno straccio di prova. A quasi un secolo dall'evento, sembra impossibile che su ciò che accadde a Tunguska continui a persistere un enigma, e che quella immane esplosione sia ancora oggi relegata nel dizionario dei misteri irrisolti.
     
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  4. DarkShaina
     
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    IL MANOSCRITTO MISTERIOSO DI VOYNICH

    Era il 1912 quando un collezionista di libri rari, Wilfred Voynich, saputo dell'esistenza di un misterioso manoscritto venuto alla luce in un antico baule conservato nella scuola gesuitica di Mondragone a Frascati, era riuscito ad accaparrarselo per un'ingente somma. Si trattava di un volume in ottavo, di circa 18 per 27 cm, composto di 204 pagine. In origine ne aveva altre 28, ma erano andate perdute. Era scritto in cifrato che a prima vista si sarebbe detto la tradizionale, consueta calligrafia medievale. Quasi tutte le pagine erano come ricamate da lievi piccoli disegni di corpi nudi femminili, diagrammi astronomici e ogni genere e tipo di pianta a più colori.
    Era il 1912 quando un collezionista di libri rari, Wilfred Voynich, saputo dell'esistenza di un misterioso manoscritto venuto alla luce in un antico baule conservato nella scuola gesuitica di Mondragone a Frascati, era riuscito ad accaparrarselo per un'ingente somma. Si trattava di un volume in ottavo, di circa 18 per 27 cm, composto di 204 pagine. In origine ne aveva altre 28, ma erano andate perdute. Era scritto in cifrato che a prima vista si sarebbe detto la tradizionale, consueta calligrafia medievale. Quasi tutte le pagine erano come ricamate da lievi piccoli disegni di corpi nudi femminili, diagrammi astronomici e ogni genere e tipo di pianta a più colori.
    Il manoscritto era accompagnato da una lettera, datata 19 agosto 1666, scritta da Joannes Marco Marci, rettore dell'Università di Praga. La lettera era indirizzata al celebre gesuita e studioso Athanasius Kircher - oggi ricordato soprattutto per gli studi sull'ipnosi - e si denunciava che il libro era stato acquistato per 600 ducati dall'imperatore del Sacro Romano Impero, Rodolfo II di Praga. Kircher era un esperto di crittografia, avendo dato alle stampe un testo sull'argomento datato 1663, in cui annunciava al mondo di essere riuscito a decifrare i misteriosi geroglifici egiziani. La cosa ci induce a ritenere il personaggio un tipo un po' troppo fantasioso, se è vero, come sappiamo, che la loro decifrazione avvenne soltanto un secolo e mezzo dopo per opera dello Champollion. Da quel che pare, Kircher si era messo al lavoro per la decodifica di qualche pagina, su invito del precedente proprietario, che diceva di aver praticamente dedicato l'intera sua vita nell'inutile operazione. Ora, gli faceva pervenire tutto il resto del volume.
    Non sappiamo per quali vie il manoscritto era approdato a Praga, ma la possibilità più accreditata è che vi venisse portato dall'Inghilterra su iniziativa del famoso mago di corte della regina Elisabetta, il dottore mirabile John Dee, che aveva visitato Praga nel 1584. Secondo alcuni, Dee avrebbe ottenuto il manoscritto dal duca di Northumberland, che aveva saccheggiato e depredato i monasteri inglesi su preciso ordine del re Enrico VIII. Più tardi, lo scrittore inglese Sir Thomas Browne riferisce che il figlio di Dee parlava di «un libro che non conteneva null'altro che geroglifici», che lui aveva esaminato e studiato a Praga. Per Marci, invece, il misterioso volume era frutto del lavoro esoterico di un altro grande, il monaco e scienziato del XIII secolo Ruggero Bacone.
    Il manoscritto Voynich (come lo si chiama oggi) costituisce davvero un bel mistero proprio perché sembra fin troppo chiaro: con tutti quei disegni di piante e vegetali, a prima vista si direbbe infatti un "erbario", un libro che insegna ad estrarre succhi e pozioni benefiche dalle piante. D'altra parte è normale aspettarsi dei diagrammi e delle tavole astronomiche e zodiacali in un erbario, perché molte piante andavano raccolte con la Luna piena o quando stelle e pianeti si trovavano in una data, precisa collocazione celeste.
    Neppure Kircher aveva avuto successo nella decrittazione e alla fine, arresosi, lo aveva consegnato al collegio gesuita di Roma, da dove era poi transitato nelle mani dei Gesuiti di Frascati.
    Da parte sua, Voynich era certo che il manoscritto non avrebbe continuato a restare un enigma, una volta che altri studiosi avessero avuto l'opportunità di visionarlo. Così aveva distribuito copie dell'originale a tutti gli interessati. Il primo grosso nodo da sciogliere era riuscire a riconoscere la lingua in cui era scritto: latino, inglese medievale, forse persino lingua d'Oc. La cosa non sembrava impossibile, dal momento che i disegni delle piante erano titolati, sebbene con scritte in codice. Ma molti nomi erano immaginari. Lo stesso per le costellazioni: potevano essere riconosciute fra quelle presenti nel firmamento, ma questa volta era il loro nome che non si poteva dedurre. Gli specialisti in decifrazione si impegnarono a fondo, applicando i più diffusi metodi di decrittazione arrivando a dedurre 29 diverse singole lettere o simboli, ciò nonostante ogni tentativo di tradurre il testo in una lingua conosciuta era fallito. Ma ciò che più di ogni cosa indispettiva gli studiosi stava nel fatto che, per quanto strano, il testo non sembrava affatto scritto seguendo la chiave di un codice, ma come se l'autore lo avesse scritto in piena scioltezza, come chi scrive nella propria lingua madre. Molti analisti, filologi, studiosi, linguisti, astronomi, profondi conoscitori dei metodi baconiani si offrirono; persino la Biblioteca vaticana mise a disposizione i suoi uffici e i suoi libri pur di arrivare a una conclusione. Invano. Il misterioso manoscritto continuò a rifiutarsi di svelare il suo segreto o, forse è meglio dire, i suoi segreti.
    Poi nel 1921 un professore di filosofia dell'Università della Pennsylvania, William Romaine Newbold, annunciò che alla fine ce l'aveva fatta a svelare il codice segreto del libro. Lo avrebbe annunciato nel corso di un incontro da tenersi a Philadelphia nell'ambito della Società americana di filosofia. La prima cosa che aveva attuato era stato far corrispondere a ciascun simbolo una lettera dell'alfabeto romano, riducendo il gruppo da 29 a 17 unità. Utilizzando il vocabolo latino conmuto (o commuto, che significa permuto) come parola chiave era riuscito a ricavare più di quattro versioni del testo, di cui l'ultima, quella giusta, derivata direttamente da vocaboli latini e da loro anagrammi. A questo punto era bastato ricomporre il tutto per ottenere uno straordinario manoscritto scientifico, attestante che Bacone era un genio incomparabile.
    La cosa, d'altra parte, è nota. Era stato proprio Bacone, in un passo del suo Opus maius, a instillare in Colombo l'idea che le Indie si sarebbero potute raggiungere salpando dalla Spagna e veleggiando verso occidente. In giorni improntati allo studio di rigide discipline quali l'alchimia e dogmatiche scienze così come erano state impostate dal grande Aristotele, Bacone aveva invece difeso una conoscenza nuova, basata sull’esperimento e sull'osservazione e per questo era stato incarcerato. Perché rigettando l'autorità aristotelica egli rinnegava anche quella della Chiesa. Nel suo La città di Dio Agostino già aveva avvisato l'umanità di stare attenta alle insidie della scienza e dell'intelletto, primi impedimenti verso la salvezza. Ruggero Bacone, al pari del suo omonimo elisabettiano Francesco, si rendeva ben conto che un simile atteggiamento significava il suicido dell'intelletto; tuttavia, ciò malgrado, si deve lo stesso riconoscere che essendo anche figlio del suo tempo, Opus maius è un'opera colma di pregiudizi e grossolani errori e superstizioni.
    Ma, se Newbold ha ragione, Bacone fu uno dei più straordinari scienziati prima di Newton. Era solito usare un microscopio da lui costruito per osservare cellule e spermatozoi - a questo si riferivano i disegni di animaletti simili a girini sui margini del libro - e realizzò un telescopio molto prima di Galileo, scoprendo che la nebulosa di Andromeda era una galassia a forma di spirale. Newbold presenta un'osservazione di Bacone che attribuisce proprio alla descrizione di questo corpo celeste: In uno specchio concavo ho potuto osservare una stella a forma di chiocciola, fra la nave di Pegaso, la corona di Andromeda e la testa di Cassiopea. (È noto che Bacone ben conosceva l'utilizzo della lente concava come specchio ustorio). Sempre Newbold dichiara che non aveva la minima idea in merito a ciò che avrebbe osservato puntando un telescopio in quella direzione. Grande era dunque stata la sua sorpresa nel constatare che la "chiocciola" altro non era che la nebulosa di Andromeda.
    Il primo a mettere in risalto alcuni dei punti deboli del metodo proposto da Newbold, è stato David Kahn, esperto crittografo, nel suo libro dal titolo The Codebreakers. Il metodo consiste nel "raddoppio" delle lettere componenti una parola. Così, per esempio, "oritur" diventa or-ri-it-tu-ur. La soluzione del testo avviene con l'ausilio della parola chiave "conmuto" e con l'aggiunta della lettera "q". Ma come avveniva il processo contrario, vale a dire, quando Bacone trasferiva il testo originale nel cifrato? Kahn afferma: «Molti codici univoci, a un solo indirizzo, sono stati mal interpretati; è certamente possibile cifrare dei messaggi, ma è pressoché impossibile decrittarli. Newbold sembra l'unico caso conosciuto in cui la situazione si presenta esattamente al contrario».
    Newbold morì nel 1926, a soli sessant'anni. Due anni dopo, il suo amico Roland G. Kent diede alla stampa il risultato delle sue ricerche in un libro intitolato The Cipher of Roger Bacon, un testo ampiamente accettato da illustri studiosi, fra cui, per esempio, Étienne Gilson.
    Ma c'era un allievo che, proprio perché aveva approfondito all'estremo lo studio del sistema applicato da Newbold, non se ne dichiarava soddisfatto. Era il dottor John M. Manly, filologo capo dell'istituto di lingua inglese presso l'Università di Chicago, destinato a diventare assistente del grande Herbert Osborne Yardley - celebrato come il massimo esperto in decodifica di tutti i tempi - quando nel 1917 il servizio segreto degli Stati Uniti decise di aprire un dipartimento appositamente dedicato alla decrittazione di codici segreti. Manly aveva dato alle stampe gli otto volumi della edizione definitiva dell’opera di Chaucer, mettendo a confronto non meno di ottanta versioni del manoscritto medievale dei Racconti di Canterbury. Una delle conquiste più eclatanti e prestigiose della sua carriera era stata la decifrazione di una lettera in codice trovata all'interno del bagaglio di una spia tedesca che si faceva chiamare Lothar Witzke, catturata a Nogales, in Messico, nel 1918. Nel corso di tre giorni di full immersion, Manly era riuscito a risolvere le dodici trasposizioni cifrate, attraverso uno slittamento multiplo in scala orizzontale di gruppi di tre e quattro lettere, finalmente disposti nella versione finale secondo una disposizione verticale. Davanti alla corte marziale, Manly era stato in grado di leggere a voce alta il messaggio cifrato, inviato alla spia dal ministro Tedesco in Messico: «Il latore di questo messaggio è un membro dell'impero e si muove sotto le mentite spoglie di un cittadino russo di nome Pablo Waberski. In realtà si tratta di un agente segreto tedesco...». Questo fatto fu la prova schiacciante della sua colpevolezza. L'uomo era stato condannato a morte, anche se poi la pena era stata commutata nel carcere a vita da un gesto di magnanimità del presidente americano Wilson.
    Ora Manly si era dedicato all'analisi del libro di Newbold e del suo metodo, giungendo a concludere che l'autore si era in pratica autoingannato. L'anello debole di tutto il complicato sistema di decifrazione consisteva nel processo di anagramma. Molte frasi, infatti, potevano essere anagrammate in dozzine di altre frasi tutte diverse fra loro, un metodo tipico di Bacone, tanto che molti suoi sostenitori si facevano forti di questa sua caratteristica per indicare in lui il vero autore delle opere attribuite a Shakespeare. Per una frase che contempli anche soltanto un centinaio di lettere, non esiste in pratica un metodo assoluto che garantisca che solo e soltanto quel dato aggiustamento anagrammatico sia quello corretto, l'unica soluzione. In merito, Kahn propone il semplice esempio delle parole "Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te", anagrammabili in almeno un migliaio di altre frasi e versioni tutte diverse.
    Inoltre Newbold aveva classificato alcuni "tratti calligrafici abbreviati" come segni di base per il suo sistema interpretativo. Quando Manly li aveva osservati con l'ausilio di una potente lente di ingrandimento si era invece reso conto della loro vera natura: niente di più che semplici impuntature della penna che si era come incastrata nella pergamena lasciandosi dietro lettere e segni incompleti. Insomma, i casi in cui Newbold veniva colto in plateale errore erano così numerosi da poter tranquillamente asserire che Manly aveva demolito sin dalle fondamenta la sua ipotesi di decifrazione del codice criptato adottato da Ruggero Bacone nel misterioso manoscritto.
    Da quell'anno in avanti - siamo nel 1931 - ci furono molteplici altri tentativi di decodifica. Nel 1933 un medico esperto nello studio dei tumori, il dottor Leonell C. Strong, pubblicò alcuni frammenti di traduzione, rivelando con sua grande soddisfazione che il testo altro non era che un erbario scritto da uno studioso inglese, certo Anthony Ascham. Fra le altre rivelazioni, Strong svelò anche una ricetta contraccettiva che sembrava funzionare assai bene. Ciò che però Strong non riuscì mai a chiarire compiutamente fu il sistema seguito per giungere alla comprensione del testo e così la sua proposta non venne in pratica tenuta in conto da nessuno.
    Poi era stata la volta di William F. Friedman, il quale negli ultimi anni della seconda guerra mondiale aveva dato corpo a un gruppo di studiosi dedito all'analisi del manoscritto. La fine del conflitto aveva fatto sciogliere il gruppo e non si era approdati a nulla. Ma Friedman aveva lo stesso fatto osservare come il manoscritto Voynich differisca da tutti gli altri scritti in codice per un sostanziale, importante aspetto. Di norma, una delle prime regole messe in atto dall'inventore di un codice segreto è quella di evitare le ripetizioni che sono appigli di facile individuazione e che consentono a chi si appresta alla decifrazione di avere alleati seminati nel testo (per esempio, il gruppo reiterato di tre lettere, nella lingua inglese, potrebbe facilmente essere decifrato come "and" e "thè"). Ebbene, il manoscritto Voynich presenta una grande abbondanza di ripetizioni, molte di più di un testo cifrato classico. Questa osservazione portò Friedman a immaginarlo come scritto in un linguaggio artificiale che, per il semplice motivo della chiarezza, non può fare a meno di utilizzare le ripetizioni, a differenza di un linguaggio naturale complesso. La cosa però presuppone che Ruggero Bacone (o chi scrisse il manoscritto) desiderasse così ardentemente velare il significato delle sue parole da mettere in atto una strategia estremamente sofisticata, tanto da essere considerata inaccessibile persino dai grandi esperti di messaggi in codice. E tutto questo per un monaco del XIII secolo, che non si vede perché necessitasse di utilizzare chissà quale codice occulto, ci pare veramente cosa improbabile...
    Ma sta qui, proprio in questo, la vera e profonda chiave dell'arcano. Noi oggi ancora non sappiamo perché il manoscritto venne redatto, da chi e in quale linguaggio, ma quand'anche venissimo a capo di questi interrogativi, continueremmo a non vedere una buona ragione di tanta fatica per l'invenzione di un codice assolutamente impenetrabile. I primi testi criptati sono conservati nella Biblioteca vaticana e risalgono al 1326 (quando Ruggero era un bambino) e raccolgono molto semplicemente soltanto dei nomi in codice di personaggi legati ai partiti politici dei Ghibellini e dei Guelfi, rispettivamente sostenitori della causa imperiale e papale. Nel testo i Ghibellini erano detti gli Egiziani, mentre i Guelfi erano i Figli di Israele. (Facile, con queste premesse, indovinare da che parte stava il redattore del codice!). Le prime "sostituzioni" cifrate, occidentali moderne iniziano a far data dal 1401. Il primo trattato di codici segreti, il Poligraphia di Giovanni Tritemio, fu pubblicato soltanto nel 1518, due anni dopo la morte dell'autore. Per questo diventa difficile immaginare che Ruggero Bacone o qualsiasi altro inventore nel secolo immediatamente successivo alla sua scomparsa si sia potuto sobbarcare un rovello mentale così straordinario da creare un codice tanto sofisticato da non essere stato decifrato neppure ai nostri giorni. Kahn prova a immaginare perché l'ipotetico redattore del misterioso erbario (ciò che, in definitiva, parrebbe essere a prima vista il manoscritto Voynich) ci tenesse tanto a nascondere il suo lavoro, ricordando il più antico caso di occultamento che la storia ricordi, ossia quello rinvenuto su una tavoletta di argilla impressa con caratteri cuneiformi e databile attorno al 1500 a.C.: «La tavoletta contiene la prima formula a noi nota per la smaltatura della ceramica. L'ignoto scriba, geloso della sua straordinaria scoperta, utilizza i segni cuneiformi... nella loro accezione meno comune». Possiamo quindi immaginare che l'autore del manoscritto Voynich fosse un abile erborista desideroso di fermare sulla carta, per sé e per i suoi allievi, le ricette messe a punto con tanta applicazione e fatica, nella - in questo caso più fondata che mai - speranti di evitare che divenissero preda di qualche concorrente.
    E’ stata forse questa la molla che ha spinto l'antiquario, esperto di libri, Hans Kraus a entrare nella storia dei manoscritto. Quando nel 1960, alla venerabile età di novantasei anni, Ethel Voynich morì, Kraus fece di tutto per entrare in possesso del manoscritto dagli eredi, per poi metterlo all'asta per la bellezza di 160.000 sterline. La promessa caldeggiata era che chi fosse riuscito a decifrare il misterioso testo avrebbe certamente scoperto informazioni che avrebbero scritto una nuova pagina della storia dell'uomo. Insomma, un'opera che una volta decodificata avrebbe visto il suo valore salire alle stelle. Ma non si era fatto avanti nessuno e così alla fine, nel 1969, Kraus pensò bene di donare il libro alla Università di Yale dove tuttora si trova, in attesa che qualche ispirato decifratore possa trovarne la chiave interpretativa.
     
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  5. DarkShaina
     
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    Il delitto Basa
    La casistica segnala un vasto numero di eventi in cui si racconta di un assassinato che torna dall'aldilà per perseguitare il suo assassino. Ma certamente uno dei casi più straordinari è quello riguardante l'omicidio della fisioterapista filippina Teresita Basa, accaduto a Chicago il 21 febbraio del 1977. Verso le 8,30 di quel mattino, i vigili del fuoco del dipartimento di Chicago sono chiamati a intervenire per un principio di incendio ai piani alti di un appartamento del North Side. Fatta irruzione nell'alloggio contrassegnato col numero 15b, avanzando attraverso un denso fumo nero, due vigili individuano il principio dell'incendio nella camera da letto.
    Un materasso ai piedi del letto sta bruciando. Bastano pochi minuti per spegnere il focolaio e far uscire il fumo dalla finestra. Ma quando i due sollevano il materasso per rimuoverlo, da sotto viene fuori il corpo nudo di una donna, le gambe aperte, il petto dilaniato dalla lama di un coltello da cucina.
    Si tratta della figlia di un giudice, una donna di 48 anni, nativa della città di Damaguete nelle Filippine; una fisioterapista specializzata in problemi respiratori - forse perché il padre era morto per complicazioni di questo tipo - all'epoca della morte impiegata presso l'Edgewater Hospital di Chicago.
    Secondo le analisi medico legali Teresita aveva aperto la porta di casa a qualcuno che conosceva; quando era suonato il campanello stava parlando al telefono con un amico. L'ignota persona l'aveva afferrata da dietro e soffocata fino a farle perdere i sensi. Aveva arraffato il danaro dalla borsetta e messo a soqquadro l'appartamento. Poi le aveva strappato di dosso i vestiti, era corso in cucina e l'aveva trucidata con un coltellaccio. Prima di fuggire aveva incendiato il materasso con un foglio di carta, lo aveva rovesciato sul cadavere e aveva lasciato la casa. Quando l'allarme antincendio era scattato, l'assassino si era già allontanato di alcuni isolati.
    La donna non aveva subito violenza sessuale. Risultò che la povera Teresita era morta ancora vergine.
    Remy (diminutivo di Remibias) Chua, pure lei filippina, collega nel reparto di terapia respiratoria presso l'ospedale e una delle più care amiche di Teresita, le era legata da una forte simpatia e da una profonda amicizia. Due settimane dopo la morte di Teresita, Chua, a metà fra il serio e il faceto, aveva dichiarato ad alcuni amici: Se non si verrà a capo del delitto, vorrà dire che Teresina me lo verrà a raccontare in sogno. Dette queste parole, si era ritirata nello spogliatoio per un breve riposo.. Mentre stava appisolandosi su una poltrona, all'improvviso aveva avvertito la necessità di aprire gli occhi, come se qualcuno la stesse chiamando. Davanti a lei stava Teresita che sembrava solida e concreta. Terrorizzata, Chua era scappata via dalla stanza.
    Nelle due settimane seguenti, due cari amici e colleghi di Chua incominciarono a osservare in lei strani cambiamenti: si comportava e imitava Teresita Basa. Anche il marito, il dottor Josè Chua, non aveva potuto fare a meno di notare il mutamento, rendendosi conto che la moglie stava subendo un improvviso sconvolgimento di personalità. Normalmente allegra e solare, si era fatta prepotente e malinconica, proprio come Teresita.
    Verso la fine di luglio, a cinque mesi dall'assassinio, un giorno Remy Chua, sapendo che avrebbe dovuto lavorare con un infermiere dell'ospedale, un certo Allan Showery, era stata improvvisamente colta da una crisi di panico. Sebbene l'imponente mole di Showery, un uomo di colore grande e grosso, potesse intimidire, il suo carattere era gioviale e cordiale. Tuttavia, quando Chua l'aveva sentito arrivare, era scattato in lei un involontario riflesso: aveva come tentato di guardarsi alle spalle - forse con lo stesso sguardo disperato che Teresita aveva avuto quando era stata assalita da dietro, nel momento in cui l'assassino le aveva stretto l'avambraccio attorno al collo per soffocarla - e, senza un'apparente ragione, il cuore le era come scoppiato nel petto. Ritenendo di essere preda di un esaurimento nervoso, a seguito di quell'episodio aveva chiesto e ottenuto qualche giorno di astensione dal lavoro.
    Quella stessa notte, il marito l'aveva sentita mormorare nel letto: "A1-A1-Al...". Una volta sveglia, gli aveva raccontato di aver sognato di trovarsi in una stanza tutta piena di fumo, poi si era riaddormentata. La mattina, si era ammalata ed era così spaventata che aveva convocato tutti i suoi parenti. Poi aveva assunto un sedativo e si era rimessa a letto, ma trascorse poche ore era ripiombata nell'agitazione. Nel delirio aveva preso a balbettare parole in spagnolo, una lingua che Remy Chua non conosceva affatto. Il marito, inginocchiato ai piedi del letto, aveva incominciato a interrogarla: «Chi sei, chi sei?», le aveva chiesto. E lei, di rimando: «Sono Teresita, Teresita Basa». Quando l'uomo le aveva chiesto che cosa desiderasse, si era sentito rispondere: «Ho bisogno d'aiuto... L'uomo che mi ha uccisa è impunito». Dopo qualche istante Teresita si era ritirata e Remy Chua era tornata se stessa.
    Due giorni dopo era stata colta da un fortissimo dolore al petto, cui era seguita una forte sensazione «come se qualcuno mi stesse calpestando». Aveva detto alla madre (che viveva con lei): «Ecco, sento che Tenie sta di nuovo arrivando».
    Al rientro a casa, il marito aveva trovato Remy a letto. Stava parlando con la voce di Teresita Basa, usando un tono di rimprovero. «Quando ti decidi ad andare alla polizia?». Al diniego dell'uomo che si giustificava dicendo che non disponeva di alcuna prova, la voce si era fatta ancora più forte e aveva sentenziato: «È stato Allen a uccidermi. L'ho fatto entrare nel mio appartamento e lui mi ha uccisa».
    Dopo un po’ lo stravagante comportamento possessivo della signora Chua aveva incominciato a mettere in crisi tutta la famiglia (i Chua avevano quattro figli). Alla fine, esasperato, il dottor Chua aveva deciso di confidarsi con il suo capo presso il Franklin Park Hospital, il dottor Winograd. Questi, estremamente interessato, pur avendo preso in considerazione il fenomeno di "possessione" con molta serietà, sapeva che la polizia avrebbe avuto tutt'altro atteggiamento, ritenendo la storia frutto di una mente maniacale. L'unica cosa da fare era quella di inviare una lettera anonima d'accusa.
    Ma un'idea ancora migliore venne suggerita dall'entità. Caduta in trance, Remy Chua aveva chiesto al marito come mai non avesse fatto quel che gli aveva chiesto. Questi, al solito, si era trincerato dietro la cronica mancanza di prove. «Non è vero - aveva sentenziato la voce - le prove ci sono. Allen ha sottratto tutti i miei gioielli e li ha regalati alla sua ragazza. È facile scoprirlo, visto che vivono insieme».
    «Ma come sarà possibile riconoscere gli oggetti?»
    «Lo faranno i miei cugini, Ron Somera e Ken Basa, loro sono in grado di farlo. Oppure i miei amici, Richard Fessoti e Ray King». Poi la voce aveva dettato il numero telefonico di Somera. «Allen era venuto per aggiustarmi il televisore, mi ha ucciso e bruciato. Chiama la polizia».
    Alla fine, il dottor Chua aveva deciso di agire e, preso coraggio, aveva chiamato la centrale di polizia di Evanston. L'8 agosto 1977, il caso Basa veniva assegnato all'agente Joseph Stachula. Ovviamente, la storia lo lasciava perplesso, tuttavia aveva avvertito sin da subito che nascondeva un fondo di verità. La difficoltà stava nel cercare di utilizzare quei dati apparentemente strabilianti in modo concreto. Andare a pizzicare Allan Showery e gettarlo in galera sulla scorta della testimonianza scaturita dalla presunta voce di una morta non era possibile.
    Tuttavia Stachula prese a indagare sul passato di Showery, arrivando a concludere che avrebbe potuto benissimo essere lui l'assassino. Il suo passato lo testimoniava: i guai con la giustizia non erano pochi. In aggiunta, abitava solo a pochi isolati di distanza da Teresita.
    Con la scusa di raccogliere elementi utili all'indagine, Showery era stato invitato alla centrale per un breve interrogatorio. Gli venne chiesto se rispondeva a verità il fatto che il giorno del delitto si era recato dalla Basa per metterle a posto il televisore. Aveva risposto che, sì, lo avrebbe dovuto fare, ma che invece, infilatosi in un bar per un drink, se ne era scordato e non era andato. Alla domanda se fosse mai stato nella casa della vittima aveva risposto con secco no, salvo cambiare repentinamente versione, una volta saputo che le sue impronte digitali corrispondevano a quelle rintracciate nell'alloggio di Teresita. In realtà c'era stato, lo aveva dimenticato, ma qualche mese prima. Alla fine, dopo un lungo tira e molla, aveva ammesso che ci era stato la sera dell'assassinio, ma che se n'era andato quasi subito perché, mancando del libretto di istruzioni e del piano dei circuiti del televisore, non aveva neppure iniziato la riparazione.
    A questo punto, Showery aveva incominciato a dare chiari segni di nervosismo. Gli investigatori lo avevano allora lasciato solo ed erano passati a interrogare Yanka, la sua compagna. La donna ricordava che quella sera - che rammentava benissimo per via del furgone dei vigili del fuoco che era passato nel quartiere - Showery era rientrato a casa piuttosto presto. Alla domanda se di recente il suo compagno le avesse regalato qualche monile, aveva mostrato agli inquirenti un bell'anello antico. Ce n'era abbastanza. La giovane era stata condotta alla stazione di polizia con il cofanetto dei suoi gioielli. Ad attenderla, intanto, erano già arrivati i due amici di Teresita, Richard Fessoti e Ray King. Non appena Fessoti aveva notato l'anello al dito di Yanka era saltato su, riconoscendolo come quello appartenuto a Teresita Basa. Anche alcuni altri gioielli vennero identificati senza esitazione. Davanti a quella conferma, l'agente Lee Epplen, partner di Stachula, aveva detto a Showery. «Bene, e adesso facciamola finita, una volta per tutte». Ma l'uomo, deciso, aveva risposto con stizza. «Poliziotti di merda, volete incastrarmi!». Quando gli erano stati presentati i gioielli non aveva esitato a negare, dicendo che li aveva acquistati al banco dei pegni, ma aveva perduto la ricevuta. La sceneggiata non poteva però continuare oltre. Ad un tratto Shower aveva chiesto di poter parlare con Yanka e, dopo qualche minuto, davanti ai poliziotti aveva confessato: «Yanka, ho una cosa da dirti. Sono stato io a uccidere Teresita Basa».
    Era convinto che Teresita fosse ricca e che derubandola avrebbe risolto ogni suo problema. Ma, dopo averla uccisa, e dopo aver frugato per tutta la casa, aveva racimolato solamente 30 dollari. Per far credere che si trattasse di un delitto a sfondo sessuale, aveva spogliato Teresita e allargato le gambe al cadavere. Poi le aveva squarciato il petto col coltellaccio da cucina e appiccato il fuoco al materasso, nella convinzione che il fuoco avrebbe cancellato ogni traccia del suo passaggio.
    Il caso, che venne battezzato "la voce dall'oltretomba", elettrizzò l'intero paese. Il processo di Showery accusato di omicidio iniziò il 21 gennaio 1979, giudice Frank W. Barbero. Ma la storia della "possessione" risultò così strampalata e poco attendibile che la giuria non fu in grado di emettere il verdetto. La difesa, inoltre, tenne a sottolineare, con un filo di sarcasmo, che fino a fatti contrari la prova fornita da un fantasma non poteva essere accolta in un tribunale. Cinque giorni dopo il caso venne chiuso. Tuttavia, il 23 febbraio dello stesso anno, Allan Showery riconosceva pubblicamente di essere lui l'assassino della povera Teresita Basa. Venne condannato complessivamente a diciotto anni, per omicidio e rapina.
     
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  6. DarkShaina
     
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    Chupacabra

    Sulla scia del tormentone della “mutilazione del bestiame” di qualche tempo fa, a metà anni Novanta, si diffusero segnalazioni di una bestia assetata di sangue — il chupacabras, (lett. “succhiacapre”) — da Puerto Rico al Messico fino a raggiungere, più tardi, la Florida. Secondo il Cox News Service (aprile 1996), «la creatura è in parte un alieno venuto dallo spazio, in parte un vampiro e in parte un rettile, con lunghi artigli affilati, occhi sporgenti e l’attitudine alla Dracula di succhiare il sangue mordendo il collo». A Puerto Rico, dove è nata la leggenda, «la creatura ha scatenato una nevrosi simile all’isteria».
    Si diceva che attaccasse tacchini, capre, conigli, cani, gatti, mucche e cavalli succhiandogli il sangue. Ad ogni modo, come ha informato la Reuters, il Dipartimento per l’agricoltura di Puerto Rico assegnò a un veterinario il compito di investigare sul caso. Le autorità annunciarono più tardi che tutti gli animali esaminati erano morti in circostanze normali e che neppure uno di essi era stato prosciugato del proprio sangue.
    Quando la nevrosi si diffuse in Messico, nell’aprile del 1996, alcuni scienziati esaminarono le fattorie dove era stato detto che i chupacabras avevano colpito. Si trattava ogni volta di cani selvatici. Un ufficiale di polizia affermò: «Non so niente di quel che accade nel resto del Messico e nel resto del mondo, ma qui i chupacabras sono solo cani selvatici», aggiungendo poi, «è solo questa nevrosi collettiva. E onnipresente, anche se ovunque andiamo riusciamo a provare che non si tratta né di extraterrestri, né di vampiri».
    Dal momento in cui lo «Skeptical Inquirer» cominciò a essere sommerso di domande da parte dei media, mi feci carico di coordinare le testimonianze e gli sviluppi della questione e contattai i nostri colleghi di Città del Messico, Patricia e Mario Mendez-Acosta. Intervistarono diversi veterinari che avevano condotto numerose autopsie sulle presunte vittime dei chupacabras; in ogni caso, il sangue era ancora nei corpi degli animali morti.
    Alcune agenzie di stampa riportarono la notizia di un’infermiera di un villaggio vicino a Città del Messico che era stata attaccata da un chupacabras. In realtà, era semplicemente caduta rompendosi un braccio, ma le sue grida di aiuto furono male interpretate da sua nonna. I vicini venuti in suo aiuto videro una figura nera e alata, che in realtà era solo uno stormo di rondini; ma fu così che la voce cominciò a spandersi. Riguardo un caso analogo avvenuto in Messico, un uomo che aveva dichiarato di essere stato attaccato da un chupacabras confessò, tempo dopo, che si trattava di un’ invenzione per nascondere il fatto di aver preso parte a una rissa («Los Angeles Times», 19 maggiO, 1996).
    L’ allucinazione collettiva si estese in Florida soprattutto attraverso il canale della radio latinoameflcana di Miami. Informato dalle autorità locali, e circondato da giornalisti, un veterinario dell’Università di Miami, Alan Herron, sezionò il cadavere di una capra per dimostrare che era stata solo morsa, e non prosciugata del suo sangue. Parlando dei morsi «che sembrano suggerire l’attacco di un predatore», Herron concluse: «Deve essere stato un branco di cani selvatici».
    «Di sicuro», riportò il Cox News Service, «questo episodio non è riuscito a calmare la nevrosi dei chupacabras».
     
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  7. DarkShaina
     
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    I fantasmi dei deportati in Australia

    L’Australia è una terra alla quale è il caso di attribuire molti superlativi. Nonostante non sia, come spesso si dice, il più antico dei continenti (i nuclei dei quali hanno più o meno tutti la stessa età), l’Australia è quello più piccolo e — a eccezione dell’Antartide — il più pianeggiante e secco. Separato da quaranta milioni di anni dagli altri continenti, l’Australia ha sviluppato una flora e una fauna uniche, e vanta una storia «cominciata due volte: la prima, 50.000-60.000 anni fa quando i nomadi aborigeni hanno raggiunto le sue coste, e la seconda, tra il 18 e il 20 gennaio del 1788, quando arrivarono undici navi inglesi cariche di galeotti.
    Ho avuto la meravigliosa opportunità di visitare l'Australia durante la terza Convention Mondiale degli Scettici, tenutasi a Sydney tra il 10 e il 12 novembre del 2000. Ho deciso di prolungare il mio soggiorno di altre due settimane, per poter così indagare su altri miti e misteri, cominciando dalle “infestate” Hyde Park Barracks.
    Conosciute come «l’edificio più infestato dagli spiriti del centro di Sydney», le Hyde Park Barracks sono state costruite nel 1817 come stabilimento penale maschile, di proprietà dello Stato. Sono state aperte a metà del 1819, e il loro edificio centrale poteva contenere seicento uomini, che di giorno lavoravano e di notte alloggiavano in dodici stanze provviste di amache. (Nel 1848 sono state trasformate in un centro di raccolta per donne nubili, e nel 1887 sono diventate un complesso di uffici governativi. Oggi sono un museo che testimonia la loro origine).
    Non si era mai parlato di fantasmi fino agli anni Cinquanta, quando un custode ha detto di aver visto «una figura con abiti da deportato che zoppicava in fondo al corridoio». Da quando l’edificio è diventato un museo, è stato al centro di numerose testimonianze di fenomeni paranormali, fornite dal personale di sicurezza e da altre persone che vi hanno trascorso la notte, tra cui degli scolari che vi si recano in gite organizzate per vivere «l’esperienza dei deportati».
    A differenza della maggior parte dei luoghi “infestati dagli spiriti"dove degli scherzi dei fantasmi si parla solamente nelle storie che passano di bocca in bocca, nei racconti all’insegna del “si dice”, o negli aneddoti raccolti per gli obbligatori articoli di giornale di Halloween, le Hyde Park Barracks posseggono un archivio spiritico, che contiene i resoconti delle esperienze registrate poco dopo essersi verificate. Il direttore Michael Bogle le ha gentilmente messe a mia disposizione perché potessi studiarle nel suo ufficio.
    Bogle ha una posizione professionalmente neutra riguardo i fantasmi, pur ammettendo di non aver mai fatto esperienza di simili apparizioni. Lo stesso vale per altri quattro dipendenti che ho intervistato una quinta dipendente ha descritto una serie di incidenti che ha attribuito a un fantasma, ma nessuno di questi ha avuto luogo presso le Hyde Park Barracks.
    Nonostante la neutralità, l’invito che il museo rivolge ai visitatori che vi pernottano ad annotare «pensieri e sensazioni» sulla loro visita su un apposito spazio del depliant, finisce senza dubbio per incoraggiare strani pensieri. Il depliant dice, in un punto: «Nel caso di un incontro “inquietante” di qualche tipo, o anche per una semplice sensazione di una presenza inspiegabile, il museo apprezzerebbe la vostra descrizione, nel modo più dettagliato possibile». E continua: «La mappa dei piani allegata vi aiuterà nella vostra visita dell’edificio e vi permetterà di segnare nel punto appropriato possibili “eventi fuori dal normale”». Il luogo in cui si pernotta, al terzo piano, si chiama “dormi è sogna”. Ovviamente, l’esperienza è appositamente pensata per spingere a sognare e per provocare l’apparizione di personaggi del passato.
    Non sorprende allora che diverse persone abbiano affermato di aver provato sensazioni inquietanti, nelle quali la suggestionabilità senza dubbio ha giocato un ruolo importante. Ad esempio, secondo un racconto pre-Halloween (dell’ 11 ottobre) del 1991, un guardiano «aveva sperato» che un collega «potesse mettersi in comunicazione con un fantasma» conosciuto «da tutte le persone addette alla sicurezza» e che solitamente si manifestava come «una sensazione che fa rabbrividire» al terzo piano.
    Altri, hanno descritto dei sogni a occhi aperti, le tipiche esperienze di apparizioni che si verificano in stato di dormiveglia e che possono anche comportare una paralisi, ovvero un’incapacità di muoversi dovuta al fatto che il corpo è ancora intorpidito per il sonno. Ad esempio, una persona ha scritto di aver visto «un uomo in piedi accanto alla mia amaca che mi guardava» e che portava vestiti d’epoca. Il racconto di questa donna rivela che «aveva provato a immaginare quale fosse stata la vita dei forzati che vivevano qui», pensiero che aveva preparato il terreno a una simile esperienza. Un’altra donna, nel momento in cui si stava addormentando, ha sentito «una forte pressione sopra il corpo e la netta sensazione che qualcosa stesse tentando di immobilizzarla» — esperienza interamente ascrivibile a una paralisi del sonno.
    A volte, i racconti suggeriscono l’idea che si tratti di scherzi, come nel caso di una ragazza appartenente a una comitiva di quarantasette scolari che ha sentito una lunga mano penetrare nel suo sacco a pelo e toccarle il fianco (si tratta forse dell’effetto di una fervida immaginazione, o di un altro sogno a occhi aperti?). In un’occasione, i passi di un bambino, uditi da due guardiani, sono stati dapprima attribuiti a uno dei ragazzini, ma sembra che, non essendo stata confermata questa ipotesi, l’incidente sia stato spiegato come un suono «probabilmente prodotto dal vento». Una persona aveva sentito alcuni colpetti che il personale ha in seguito attribuito a un fenomeno meccanico.
    Questo tipo di incidenti sembra essere tipico delle Hyde Park Barracks, così come di altri luoghi presumibilmente infestati dagli spiriti. Ad esempio, si dice che la vecchia prigione di Melbourne sia un luogo abitato da molti «spiriti inquieti, fantasmi di criminali che hanno sofferto e sono morti qui». Certamente si tratta di una vera e propria mostra sulla vita carceraria del xix secolo, con esibizioni di attrezzi di contenzione e di punizione, e vari mementi mori. Degli esempi sono la maschera della morte, la pistola, e l’armatura fatta in casa del famigerato bushranger (lett. “bandito di strada”) Ned Kelly (la cui armatura è stata efficace finché non fu ferito al ginocchio da un colpo di pistola).
    C’è anche il patibolo sul quale Kelly è stato poi impiccato, e la scritta con la sua frase ironica «Così è la vita». In breve, la prigione è uno di quei luoghi che, se non è infestato da fantasmi, certamente dovrebbe esserlo. Un depliant pubblicitario promette: «Scopri l’atmosfera misteriosa e inquietante della prigione e, ascoltando con attenzione, potrai quasi sentire il suono delle catene dei prigionieri».
    Tuttavia, vere e proprie prove di fenomeni spiritici sul posto sono scarse, nonostante una discutibile foto di un “fantasma” mostrata di malavoglia da una dipendente del negozio di souvenir, quando è stato messo in discussione il fatto che il luogo fosse infestato dagli spiriti. Ha ammesso che alcune persone in quel luogo avevano avvertito delle «sensazioni», ma ha sottolineato che lavorava lì da dieci anni e non aveva mai avuto nessuna esperienza paranormale. Scherzando, ha fatto notare che lavorava solo un giorno alla settimana, e che forse «i fantasmi hanno il martedì libero».
     
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  8. DarkShaina
     
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    Italiani scomparsi a Los Roques in Venezuela

    Il 4 Gennaio un aereo bimotore della compagnia Transaven, ha perso il contatto con la torre di controllo attorno alle 9.15 (ora locale), subito dopo aver segnalato problemi a bordo. Fra le persone a bordo, oltre agli otto italiani, c’erano un cittadino statunitense e 3 venezuelani.
    Gli otto italiani dispersi sono una famiglia di Ponzano Veneto in provincia di Treviso (padre, madre e due bambine di 6 e 8 anni), due donne bolognesi e una coppia di Roma in viaggio di nozze.
    Ormai soprannominato l’arcipelago del terrore, l’arcipelago di Los Roques l’anno scorso fu teatro dell’omicidio di Elena Vecoli,
    la 34enne fiorentina uccisa dopo essere stata aggredita nella posada ‘La Lagunita’, dove si trovava in luna di miele con il marito Riccardo Prescendi, rimasto ferito nell’agguato.
    Nonostante esistano moltissimi dubbi sull’accaduto, al momento il Governo Italiano non ha ancora predisposto quanto necessario per far luce su questo oscuro episodio, un atto dovuto ma che sembra non sfiori minimamente il pensiero di chi dovrebbe cercare la verità.
    Nella breve comunicazione via radio, il pilota lamentava problemi ad entrambi i motori ed annunciava il tentativo di un ammaraggio. Da quel momento dei passeggeri non si è saputo più nulla.
    Sull’accaduto ci sono moltissimi dubbi, principalmente la mancanza dei corpi e del relitto dell’aereo, si pensa con sempre più insistenza ad un sequestro di persona, possibilità non troppo recondita considerando la zona nella quale sono scomparsi i nostri connazionali.
    Un altro strano episodio stranissimo, è stato il ritrovamento del corpo di uno dei piloti quasi nudo, allora è lecito chiedersi come fosse finito lì solo lui e in che condizioni c’è arrivato, intanto questo rimane uno dei misteri irrisolti più strani degli ultimi anni.

     
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  9. DarkShaina
     
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    IL PRINCIPE DI SANSEVERO

    E’ il 30 gennaio del 1710 quando nasce Raimondo di Sangro, rampollo di una famiglia che si vanta di discendere addirittura da Carlo Magno, fondatore del Sacro Romano Impero. Orfano di madre ad appena un anno ed abbandonato dal padre che prende la strada del convento senza curarsi troppo di lui, il giovane Principe cresce con i nonni, prima di partire per Roma alla volta di un collegio di Gesuiti. Torna a Napoli, ormai una delle grandi capitali d'Europa, a vent'anni, dopo aver dato prova di una spiccata intelligenza come di uno spirito indomabile. E non passa molto tempo che comincia a far parlare di sé.
    Raimondo di Sangro è colto, amante dell'arte, gran mecenate e personaggio di rilievo nella vita culturale napoletana.
    Un personaggio pieno di estro, naturalista e filosofo, appassionato di alchimia, di meccanica e delle scienze in genere. Insomma, all'apparenza un perfetto intellettuale illuminista.
    Il palazzo dei misteri
    Ma cosa avviene la notte all'interno del suo palazzo? E quello che si chiedono i napoletani sentendo rumori insoliti, strani odori, bagliori inquietanti e movimenti sospetti.
    Il suo laboratorio diventa presto il luogo più leggendario della città, e la fantasia popolare gli attribuisce invenzioni incredibili come il "lume eterno", una fiamma che arde senza fine consumando minime quantità di un combustibile di sua invenzione, ottenuto, si diceva, anche tritando le ossa di un teschio umano, oppure una macchina idraulica capace di far salire l'acqua a qualunque altezza, ed una carrozza "anfibia" in grado di andare per terra e mare, con la quale attraversa il golfo di Napoli. Ma il suo vero capolavoro si trova in un vicolo stretto e buio, uno dei luoghi più misteriosi della città.
    La leggendaria Cappella di famiglia
    Nel 700 la Cappella dei principi di Sansevero si arricchisce notevolmente per merito proprio di Raimondo di Sangro, che chiama attorno a sé i più grandi artisti dell'epoca.
    Il Principe amava molto gli esperimenti di laboratorio e preparava da solo anche le misture e i solventi per dare ai colori resistenza e vivacità. Una prova è l'affresco della cappella, La Gloria del Paradiso: i colori sono rimasti intatti per quasi tre secoli, senza bisogno di alcun restauro grazie, pare, alle sostanze usate dal Principe e ancora oggi sconosciute. Da alchimista, esercitava spesso l'arte di "sciogliere e coagulare" la materia, tanto da ottenere un particolare mastice per cornicioni, capitelli e statue, capace di restituire notevoli effetti plastici. Le stesse statue simboliche a grandezza naturale della Cappella si dice siano state ottenute grazie ad una tecnica ancora sconosciuta.
    Le macchine anatomiche
    Misteriose per alcuni, volgari manichini per altri: delle due figure che si trovano nel sotterraneo annesso alla Cappella, si parla ormai da secoli. Scendendo per la piccola scala di ferro, si accede ad una stanza nella quale campeggiano due grandi teche. Qui sono conservate le cosiddette "macchine anatomiche", due scheletri rivestiti con una intera rete di vene e arterie, solidificate, pare, con un processo di metallizzazione inventato dal Principe e di cui si è perso il segreto. Avrebbe, si dice, iniettato una sostanza alchemica nei corpi ancora in vita di due servitori, distruggendo l'involucro corporeo e disegnando le vene, le arterie e perfino i capillari. Ma c'è chi sostiene siano solo due scheletri, di un uomo e di una donna incinta, rivestiti da fili e cera di diversi colori. Quello che è certo è che il Principe privilegiava lo studio dell'alchimia e dell'anatomia umana, c'è chi dice per raggiungere l'immortalità. Una ricerca che potrebbe averlo portato alla morte.
    Esperimenti mortali
    Secondo il racconto di Benedetto Croce, pare che egli avesse scoperto un elisir prodigioso, capace di dar vita ai cadaveri, e che lo volesse sperimentare su di sé. Così diede ordine ad un servitore di tagliare il suo corpo a pezzi e di chiuderlo in un baule, in attesa della sua rinascita. Qualcuno, però, aprì prima del tempo il baule: il corpo del Principe si sollevò semivivo, urlò e ricadde subito dopo, definitivamente morto.
     
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  10. Miharu_95
     
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    ti dispiace se copio qualcosa per la foresta? comunque tra queste leggende in qualche modo uno fa una brutta fine XD
     
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  11. DarkShaina
     
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    Oggi per miti e leggende parleremo dei Troll, creature che oltre a non venerare nessuna divinità, avevano una personalità ben distinta.
    Ogni località ha una sua versione del Troll, per esempio quella scandinava, parla di loro come dei brutti e cattivi esseri nemici dell’uomo, più grandi e forti di noi umani, che vivono in grotte che lasciano solamente di notte, quando la luce è poca ed è facile per andare a caccia. Se questi, vengono esposti al sole, diventano subito pietra e sono amanti della carne umana.
    I troll erano degli esseri grandi, sulle teste e sul naso nascevano piante e muschio, molti di loro secondo la tradizione norvegese erano molto piccoli, altri potevano avere due o tre teste ma tutti avevano una vita longeva.
    Mani e piedi con quattro dita, nasi lunghi, ruvidi, rozzi e irsuti, con una folta coda, inoltre le mamme solevano utilizzare l’vena per cuocere del brodo ai piccoli.
    Questi esseri hanno poteri magici, le trolle possono trasformarsi per esempio in donne bellissime che ammaliavano dei poveri contadini, principi e simili.I troll sono anche di carattere tranquillo, non bellicoso, amano la tranquillità, la dolcezza, ma la loro ira diventa funesta se viene deturpato il loro habitat.
    Se durante un gita nel bosco , vi prenderete cura della natura, il troll non vi darà alcun fastidio, anzi vi aiuterà semmai vi perderete durante la notte.
    Questo essere viene spesso nominato nella letteratura, da Tolkien, I Troll Mumin di Tove Jansson, ai giochi di ruolo creati da Gary Gygax.
    In italia del nord, questi esseri sembrano vivere all’interno della folta boscaglia delle alpi, questa tipologia si dice sia più gentile delle altre, mentre in scozia queste creature si dice siano piccole e invisibile, che solamente un bambino li possa vedere.
    Che esistano o meno, queste creature sono conosciute in tutto il mondo, spesso vengono nominate per metter paura ai bambini, ma questa è un’altra storia!
     
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  12. DarkShaina
     
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    Oggi parleremo del Golem, termine ebraico gölem, che significa embrione. Il Golem è frutto di una leggenda del ghetto Praghese, leggenda che dice di un rabbino che creò un automa d’argilla che si ribellò al suo creatore ed all’ Imperatore.
    Secondo Il Talmud (il complesso delle interpretazioni delle tradizioni e delle norme giuridiche ebraiche), che dedica un passo all’analisi della creazione dell’uomo da parte di Dio dice:“Dodici ore ebbe il giorno; nella prima fu accumulata la terra, nella seconda egli divenne Golem (Materia informe), nella quarta fu infusa in lui l’anima”.
    Il cabalista Eleazar di Worms del XI secolo realizza la ricetta pratica per infondere la vita alla materia inerte, il risultato è il Golem, un uomo artificiale fabbricato con il fango da un altro uomo.
    Durante il XI secolo, in Germania, Polonia, e Boemia, si propagò la leggenda che diceva che alcuni Rabbini esperti nelle difficili arti della Qabbalah sarebbero stati in grado di realizzare un Golem animato tracciando sulla loro fronte i caratteri alif, mem e thaw. I Golem avrebbero svolto umili mansioni di servitori, ma con il tempo divennero sempre più enormi e ingovernabili.
    Un romanzo di Gustav Meyrink, Der Golem (1915), descrive il Golem come una sorta di mostro, mentre in realtà sono di molteplici razze e possono avere un aspetto umano, intuito, intelligenza e compassione e alcuni possono essere simili in tutto e per tutto a uomini morti o viventi. I Golem viventi spesso sono in grado di mutare il loro aspetto e vengono fabbricati quando serve un duplicato della persona.Il 20 Adar del 5340 dell’Era Ebraica cioè Marzo 1580 dell’era cristiana, secondo la leggenda Jehuda Liva Ben Becalem, noto come il Marahal o Morenu Ha-Ray Loew, si radunò nella Sinagoga della Città Ebraica di Praga, con i suoi più fedeli discepoli, ognuno dei discepoli rappresentava un elemento: il Marahal era il simbolo dell’aria; il Rabbino Yitzchak Hacohen, rappresentava il fuoco ed il Rabbino Sosson rappresentava l’acqua, mentre la terra, era già sull’impiantito della Sinagoga.
    Il Marahal cominciò a plasmare deli fango, i suoi assistenti lo aiutarono dandogli un aspetto umano, a figura completta, il Rabbino Loew iniziò a recitare il primo capitolo della Genesi, insieme a brani del Talmud, accese una torcia che diede al Rabbino Sasson, con un bastone tracciò un cerchio sul pavimenti, il Marahal diede ai discepoli delle istruzioni, a Yitzchak di camminare intorno al cerchio per sette volte, pronunciando i nomi cabalistici della divinità , a rito compiuto, la torcia si spense.
    il Marahal, disse di respirare alla creatura ed ella respirò ed apri gli occhi, “Il tuo nome sarà Yossel“, disse il Marahal, ” la tua missione sulla Terra sarà quella di proteggere il popolo di Israele dai suoi nemici. Nessuno sarà più forte di te, vincerai il fuoco e la morte, sarai indistruttibile ed immortale”. il Golem del Rabbino Loew è il rappresentante più famoso della specie e la sua storia venne raccontata in Le meraviglie del Marahal, 1909, in Il Golem di Praga, di Chaim Bloch.
    Vera o no, la nascita del Golem si dice sia questa, almeno sembra essere la più attendibile, ma la domanda da farsi è: esiste realmente qualcuno in grado di realizzare un essere di fango?
     
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  13. DarkShaina
     
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    Baba Yaga – La nonna del Diavolo

    Quanti di voi sapevano che il diavolo avesse una nonna? Ebbene si anche lui aveva una nonna e oggi parleremo di lei, identificata con il nome di BABA YAGA o BABA JAGA.

    Di aspetto davvero poco piacevole e con intenzioni poco benevole Baba Yaga o Baba Jaga è un personaggio della Mitologia Slava, viveva con i suoi servi devoti in una casa nel bel mezzo di una fitta foresta.

    La casa poggiava su zampe di gallina, le pareti esterne della casa erano costituite da ossa umane, il buco della serratura è una bocca con denti taglienti, la recinzione della casa era costituita da ossa con sopra i teschi delle sue vittime in una versione diversa sembra che la casa risultasse invisibile e che si mostrasse solo dopo aver pronunciato una certa frase magica.

    Con un aspetto poco piacevole, naso deforme e denti allungati e gambe ossute è considerata da diverse popolazioni una strega malefica e nonna del diavolo, strega dispettosa che divora i bambini.

    In alcuni casi però racconta anche che abbia aiutato alcune persone nelle loro ricerche e che davanti a una grande purezza di spirito sia riuscita addirittura a dare consigli utili.

    Come mezzo di strasporto cavalcava volando un mortaio o un grosso pentolone utilizzando il pestello come timone e che cancellava i sentieri nei boschi con la sua scopa di betulla d’argento.

    Associate a questa figura esistono due diverse leggende : La Leggenda dei 3 Cavalieri e La leggenda di Vassilissa la bella.

    La leggenda dei 3 Cavalieri parla appunto di 3 Cavalieri, servi invisibili di Baba Yaga: Il Cavaliere Bianco, su di un cavallo bianco e armatura bianca rappresenta il Giorno, il Cavaliere Rosso rappresenta il Sole mentre il Cavaliere Nero rappresenta la Notte, Baba Yaga uccideva chiunque chiedesse inoformazioni su di essi;

    La Leggenda di Vassilissa la Bella, parla di una bella fanciulla mandata dalla matrigna cattiva da Baba Jaga a chiedere consiglio e da lei schiavizzata, ma grazie ai consigli della zia buona Vassilissa fu gentile con i servi di Baba Yaga.

    Al gatto diede del prosiutto, al cane un tozzo di pane, al cancello cigolante oliò i cardini ed all’albero legò i rami con un nastrino, e grazie alla sua cortesia i servi decisero di aiutare la bella fanciulla a fuggire e Baba Jaga fu trasformata in corvo.

    La bella Vassilissa torno a casa dal padre che nel frattempo aveva scoperto il gesto cattivo della matrigna e la cacciò via vivendo felice e contento con la figlia.
     
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