Fiabe

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  1. DarkShaina
     
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    La favola di Biancaneve e i sette nani
    Fratelli Grimm.

    Biancaneve

    Una volta, nel cuor dell'inverno, mentre i fiocchi di neve cadevano dal cielo come piume, una regina cuciva, seduta accanto a una finestra, dalla cornice d'ebano.
    E così, cucendo e alzando gli occhi per guardar la neve, si punse un dito, e caddero nella neve tre gocce di sangue.
    Il rosso era così bello su quel candore, ch'ella pensò:
    "Avessi una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue e dai capelli neri come il legno della finestra!"
    Poco dopo diede alla luce una figlioletta bianca come la neve, rossa come il sangue e dai capelli neri come l'ebano; e la chiamarono Biancaneve.
    E quando nacque, la regina morì.
    Dopo un anno il re prese un'altra moglie; era bella, ma superba e prepotente, e non poteva sopportare che qualcuno la superasse in bellezza.

    Aveva uno specchio magico, e nello specchiarsi diceva:
    - Dal muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella?
    E lo specchio rispondeva: Nel regno, Maestà, tu sei quella.
    Ed ella era contenta, perché sapeva che lo specchio diceva la verità.
    Ma Biancaneve cresceva, diventava sempre più bella e a sette anni era bella come la luce del giorno e ancor più della regina.
    Una volta che la regina chiese allo specchio:
    Dal muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella?
    lo specchio rispose: Regina, la più bella qui sei tu, ma Biancaneve lo è molto di più.
    La regina allibì e diventò verde e gialla d'invidia.
    Da quel momento la vista di Biancaneve la sconvolse, tanto ella odiava la bimba.
    E invidia e superbia crebbero come le male erbe, così che ella non ebbe più pace né giorno né notte.
    Allora chiamò un cacciatore e disse:
    - Porta la bambina nel bosco, non la voglio più vedere. Uccidila, e mostrami i polmoni e il fegato come prova della sua morte -.
    Il cacciatore obbedì e condusse la bimba lontano; ma quando estrasse il coltello per trafiggere il suo cuore innocente, ella si mise a piangere e disse:
    - Ah, caro cacciatore, lasciami vivere! Correrò nella foresta selvaggia e non tornerò mai più -.
    Ed era tanto bella che il cacciatore disse, impietosito:
    - Và, pure, povera bambina-. "Le bestie feroci faranno presto a divorarti", pensava; ma sentiva che gli si era levato un gran peso dal cuore, a non doverla uccidere.
    E siccome proprio allora arrivò di corsa un cinghialetto, lo sgozzò, gli tolse i polmoni e il fegato e li portò alla regina come prova.
    Il cuoco dovette salarli e cucinarli, e la perfida li mangiò, credendo di mangiare i polmoni e il fegato di Biancaneve.

    Ora la povera bambina era tutta sola nel gran bosco e aveva tanta paura che badava anche alle foglie degli alberi e non sapeva che fare.
    Si mise a correre e corse sulle pietre aguzze e fra le spine; le bestie feroci le passavano accanto, ma senza farle alcun male.
    Corse finché le ressero le gambe; era quasi sera, quando vide una casettina ed entrò per riposarsi.
    Nella casetta tutto era piccino, ma lindo e leggiadro oltre ogni dire.
    C'era una tavola apparecchiata con sette piattini: ogni piattino col suo cucchiaino, e sette coltellini, sette forchettine e sette bicchierini.

    Lungo la parete, l'uno accanto all'altro, c'eran sette lettini, coperti di candide lenzuola.
    Biancaneve aveva tanta fame e tanta sete, che mangiò un po' di verdura con pane da ogni piattino, e bevve una goccia di vino da ogni bicchierino, perché non voleva portar via tutto a uno solo.
    Poi era così stanca che si sdraiò in un lettino ma non ce n'era uno che andasse bene: o troppo lungo o troppo corto, finchè il settimo fu quello giusto: ci si coricò, si raccomandò a Dio e si addormentò. A buio, arrivarono i padroni di casa: erano i sette nani, che scavavano i minerali dai monti.
    Accesero le loro sette candeline e, quando la casetta fu illuminata, videro che era entrato qualcuno; perché non tutto era in ordine, come l'avevan lasciato.
    Il primo disse:
    - Chi si è seduto sulla mia seggiolina?-
    Il secondo: - Chi ha mangiato dal mio piattino?-
    Il terzo: - Chi ha preso un po' del mio panino?-
    Il quarto: - Chi ha mangiato un po' della mia verdura?-
    Il quinto: - Chi ha usato la mia forchettina?-
    Il sesto: - Chi ha tagliato col mio coltellino?-
    Il settimo: - Chi ha bevuto dal mio bicchierino?-
    Poi il primo si guardò intorno, vide che il suo letto era un po' ammaccato e disse:
    - Chi mi ha schiacciato il lettino?-
    Gli altri accorsero e gridarono: - Anche nel mio c'è stato qualcuno -.
    Ma il settimo scorse nel suo letto Biancaneve addormentata.
    Chiamò gli altri, che accorsero e gridando di meraviglia presero le loro sette candeline e illuminarono Biancaneve.
    – Ah, Dio mio! ah, Dio mio! – esclamarono: - Che bella bambina! –
    Ed erano così felici che non la svegliarono e la lasciarono dormire nel lettino.
    Il settimo nano dormì coi suoi compagni, un'ora con ciascuno; e la notte passò.
    Al mattino, Biancaneve si svegliò e s'impaurì vedendo i sette nani.
    Ma essi le chiesero gentilmente: - Come ti chiami?- Mi chiamo Biancaneve,- rispose. – Come sei venuta in casa nostra?- dissero ancora i nani.
    Ella raccontò che la sua matrigna voleva farla uccidere, ma il cacciatore le aveva lasciato la vita ed ella aveva corso tutto il giorno, finchè aveva trovato la casina.
    I nani dissero: - Se vuoi curare la nostra casa, cucinare, fare i letti, lavare, cucire e far la calza, e tener tutto in ordine e ben pulito, puoi rimanere con noi, e non ti mancherà nulla.
    – Sì,- disse Biancaneve,- di gran cuore-.

    E rimase con loro.
    Teneva in ordine la casa; al mattino essi andavano nei monti, in cerca di minerali e d'oro, la sera tornavano, e la cena doveva essere pronta. Di giorno la fanciulla era sola. I nani l'ammonivano affettuosamente, dicendo:
    - Guardati dalla tua matrigna; farà presto a sapere che sei qui: non lasciar entrare nessuno. Ma la regina, persuasa di aver mangiato i polmoni e il fegato di Biancaneve, non pensava ad altro, se non ch'ella era di nuovo la prima e la più bella; andò davanti allo specchio e disse:
    - Dal muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella?
    E lo specchio rispose: - Regina, la più bella qui sei tu; ma al di là di monti e piani, presso i sette nani, Biancaneve lo è molto di più.
    La regina inorridì, perché sapeva che lo specchio non mentiva mai, e si accorse che il cacciatore l'aveva ingannata e Biancaneve era ancora viva.
    E allora pensò di nuovo come fare ad ucciderla: perché, s'ella non era la più bella di tutto il paese, l'invidia non le dava requie.

    Pensa e ripensa, finalmente si tinse la faccia e si travestì da vecchia merciaia, in modo da rendersi del tutto irriconoscibile. Così trasformata, passò i sette monti, fino alla casa dei sette nani, bussò alla porta e gridò:
    - Roba bella, chi compra! chi compra!- Biancaneve diede un'occhiata dalla finestra e gridò:
    - Buon giorno, brava donna, cos'avete da vendere?
    – Roba buona, roba bella,- rispose la vecchia,- stringhe di tutti i colori -. E ne tirò fuori una, di seta variopinta.
    "Questa brava donna posso lasciarla entrare", pensò Biancaneve; aprì la porta e si comprò la bella stringa.
    – Bambina, - disse la vecchia,- come sei conciata! Vieni, per una volta voglio allacciarti io come si deve-.
    La fanciulla le si mise davanti fiduciosa e si lasciò allacciare con la stringa nuova: ma la vecchia strinse tanto e così rapidamente che a Biancaneve mancò il respiro e cadde come morta.
    – Ormai lo sei stata la più bella,- disse la regina, e corse via.
    Presto si fece sera e tornarono i sette nani: come si spaventarono, vedendo la loro cara Biancaneve stesa a terra, rigida, come se fosse morta!
    La sollevarono e, vedendo che era troppo stretta alla vita, tagliarono la stringa.
    Allora ella cominciò a respirare lievemente e a poco a poco si rianimò.
    Quando i nani udirono l'accaduto, le dissero:
    - La vecchia merciaia altri non era che la scellerata regina; sta' in guardia, e non lasciar entrare nessuno, se non ci siamo anche noi.
    Ma la cattiva regina, appena arrivata a casa, andò davanti allo specchio e chiese:
    - Dal muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella?
    Come al solito, lo specchio rispose:
    - Regina, la più bella qui sei tu; ma al di là di monti e piani, presso i sette nani, Biancaneve lo è molto di più.
    A queste parole, il sangue le affluì tutto al cuore dallo spavento, perché vide che Biancaneve era tornata in vita.
    "Ma adesso,. pensò,- troverò qualcosa che sarà la tua rovina"; e, siccome s'intendeva di stregoneria, preparò un pettine avvelenato. Poi si travestì e prese l'aspetto di un'altra vecchia. Passò i sette monti fino alla casa dei sette nani, bussò alla porta e gridò:
    - Roba bella! roba bella! –
    Biancaneve guardò fuori e disse:
    - Andate pure, non posso lasciar entrare nessuno.
    – Ma guardare ti sarà permesso,- disse la vecchia; tirò fuori il pettine avvelenato e lo sollevò.
    Alla bimba piacque tanto che si lasciò sedurre e aprì la porta.
    Conclusa la compera, la vecchia disse:
    -Adesso voglio pettinarti per bene-.
    La povera Biancaneve, di nulla sospettando, lasciò fare; ma non appena quella le mise il pettine nei capelli, il veleno agì e la fanciulla cadde priva di sensi.
    – Portento di bellezza!- disse la cattiva matrigna: - è finita per te!- e se ne andò.
    Ma per fortuna era quasi sera e i sette nani stavano per tornare. Quando videro Biancaneve giacer come morta, sospettarono subito della matrigna, cercarono e trovarono il pettine avvelenato; appena l'ebbero tolto, Biancaneve tornò in sé e narrò quel che era accaduto.
    Di nuovo l'ammonirono che stesse in guardia e non aprisse la porta a nessuno.
    A casa, la regina si mise allo specchio e disse:
    - Dal muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella?
    Come al solito, lo specchio rispose:
    - Regina, la più bella qui sei tu; ma al di là di monti e piani, presso i sette nani, Biancaneve lo è molto di più.
    A tali parole, ella rabbrividì e tremò di collera.
    – Biancaneve morirà,- gridò,- dovesse costarmi la vita -.
    Andò in una stanza segreta dove non entrava nessuno e preparò una mela velenosissima.
    Di fuori era bella, bianca e rossa, che invogliava solo a vederla; ma chi ne mangiava un pezzetto, doveva morire.
    Quando la mela fu pronta, ella si tinse il viso e si travestì da contadina, e così passò i sette monti fino alla casa dei sette nani.

    Bussò, Biancaneve si affacciò alla finestra e disse:
    - Non posso lasciar entrare nessuno, i sette anni me l'hanno proibito.
    - Non importa,- rispose la contadina,- le mie mele le vendo lo stesso. Prendi, voglio regalartene una.
    - No,- rispose Biancaneve,- non posso accettar nulla.
    - Hai paura del veleno?- disse la vecchia.- Guarda, la divido per metà: tu mangerai quella rossa, io quella bianca -.
    Ma la mela era fatta con tanta arte che soltanto la metà rossa era avvelenata.
    Biancaneve mangiava con gli occhi la bella mela, e quando vide la contadina morderci dentro, non potè più resistere, stese la mano e prese la metà avvelenata.
    Ma al primo boccone cadde a terra morta.
    La regina l'osservò ferocemente e scoppiò a ridere, dicendo:
    - Bianca come la neve, rossa come il sangue, nera come l'ebano! Stavolta i nani non ti sveglieranno più -.
    A casa, domandò allo specchio:
    - Da muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella ?
    E finalmente lo specchio rispose: - Nel regno, Maestà, tu sei quella.
    Allora il suo cuore invidioso ebbe pace, se ci può esse pace per un cuore invidioso.

    I nani, tornando a casa, trovarono Biancaneve che giaceva a terra, e non usciva respiro dalle sue labbra ed era morta. La sollevarono, cercarono se mai ci fosse qualcosa di velenoso, le slacciarono le vesti, le pettinarono i capelli, la lavarono con acqua e vino, ma inutilmente: la cara bambina era morta e non si ridestò. La misero su un cataletto, la circondarono tutti e sette e la piansero, la piansero per tre giorni. Poi volevano sotterrarla; ma in viso, con le sue belle guance rosse, ella era ancora fresca, come se fosse viva. Dissero: - Non possiamo seppellirla dentro la terra nera,- e fecero fare una bara di cristallo, perché la si potesse vedere da ogni lato, ve la deposero e vi misero sopra il suo nome, a lettere d'oro, e scrissero che era figlia di re. Poi esposero la bara sul monte, e uno di loro vi restò sempre a guardia. E anche gli animali vennero a pianger Biancaneve: prima una civetta, poi un corvo e infine una colombella. Biancaneve rimase molto, molto tempo nella bara, ma non imputridì: sembrava che dormisse, perché era bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come l'ebano.
    Ma un bel giorno capitò nel bosco un principe e andò a pernottare nella casa dei nani.
    Vide la bara sul monte e la bella Biancaneve e lesse quel che era scritto a lettere d'oro.
    Allora disse ai nani: - Lasciatemi la bara; in compenso vi darò quel che volete -.
    Ma i nani risposero: - Non la cediamo per tutto l'oro del mondo
    - Regalatemela, allora,- egli disse,- non posso vivere senza veder Biancaneve: voglio onorarla ed esaltarla come la cosa che mi è più cara al mondo.-
    A sentirlo, i buoni nani s'impietosirono e gli donarono la bara.
    Il principe ordinò ai suoi servi di portarla sulle spalle.
    Ora avvenne che essi inciamparono in uno sterpo e per la scossa quel pezzo di mela avvelenata, che Biancaneve aveva trangugiato, le uscì dalla gola.
    E poco dopo ella aprì gli occhi, sollevò il coperchio e si rizzò nella bara: era tornata in vita.
    -Ah Dio, dove sono?- gridò.
    Il principe disse, pieno di gioia: - Sei con me,- e le raccontò quel che era avvenuto, aggiungendo: - Ti amo sopra ogni cosa del mondo; vieni con me nel castello di mio padre, sarai la mia sposa-.
    Biancaneve acconsentì e andò con lui, e furono ordinate le nozze con gran pompa e splendore.
    Ma alla festa invitarono anche la perfida matrigna di Biancaneve. Indossate le sue belle vesti, ella andò allo specchio e disse:
    - Da muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella?
    Lo specchio rispose: - Regina, la più bella qui sei tu; ma la sposa lo è molto di più.
    La cattiva donna imprecò e il suo affanno era così grande che non poteva più dominarsi. Dapprima non voleva assistere alle nozze; ma non trovò pace e dovette andar a vedere la giovane regina.
    Entrando, riconobbe Biancaneve e impietrì dallo spavento e dall'orrore.
    Ma sulla brace eran già pronte due pantofole di ferro: le portarono con le molle, e le deposero davanti a lei. Ed ella dovette calzare le scarpe roventi e ballare, finché cadde a terra, morta.


    Biancaneve di Jachob e Wilhelm Grimm
     
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  2. hondaman
     
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    va...che mimmo sto topic^^
     
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  3. DarkShaina
     
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    Mica tanto...sono le fiabe originali...non finiscono poi così bene come nei rifatti cartoni animati....
     
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  4. DarkShaina
     
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    La favola di "cappuccetto rosso"
    Fratelli Grimm.

    Cappuccetto rosso

    C'era una volta una cara ragazzina; solo a vederla le volevan tutti bene, e specialmente la nonna, che non sapeva piu' cosa regalarle. Una volta le regalò un cappuccetto di velluto rosso, e, poichè le donava tanto ch'essa non volle più portare altro, la chiamarono sempre Cappuccetto Rosso.

    Un giorno sua madre le disse:
    - Vieni, Cappuccetto Rosso, eccoti un pezzo di focaccia e una bottiglia di vino, portali alla nonna; è debole e malata e si ristorerà. Mettiti in via prima che faccia troppo caldo; e, quando sei fuori, va' da brava, senza uscir di strada; se no, cadi e rompi la bottiglia e la nonna resta a mani vuote. E quando entri nella sua stanza, non dimenticare di dir buon giorno invece di curiosare in tutti gli angoli.
    -Farò tutto per bene, - disse Cappuccetto Rosso alla mamma e le diede la mano.
    Ma la nonna abitava fuori, nel bosco, a una mezz'ora dal villaggio. E quando giunse nel bosco, Cappuccetto Rosso incontrò il lupo. Ma non sapeva che fosse una bestia tanto cattiva e non ebbe paura.
    - Buon giorno, Cappuccetto Rosso, - egli disse.
    - Grazie, lupo.
    - Dove vai cosi presto, Cappuccetto Rosso?
    - Dalla nonna.
    - Cos 'hai sotto il grembiule?
    - Vino e focaccia: ieri abbiamo cotto il pane; così la nonna, che è debole e malata, se la godrà un po' e si rinforzerà.
    - Dove abita la tua nonna, Cappuccetto Rosso?
    - A un buon quarto d'ora di qui, nel bosco, sotto le tre grosse querce; là c'è la sua casa, è sotto la macchia di noccioli, lo saprai già, - disse Cappuccetto Rosso.
    Il lupo pensava: " Questa bimba tenerella è un grasso boccone, sarà piu' saporita della vecchia; se sei furbo, le acchiappi tutt'e due". Fece un pezzetto di strada vicino a Cappuccetto Rosso, poi disse:
    - Vedi, Cappuccetto Rosso, quanti bei fiori? perché non ti guardi intorno? Credo che non senti neppure come cantano dolcemente gli uccellini! Te ne vai tutta contegnosa, come se andassi a scuola, ed è così allegro fuori nel bosco!
    Cappuccetto Rosso alzò gli occhi e quando vide i raggi di sole danzare attraverso gli alberi, e tutto intorno pieno di bei fiori, pensò: " Se porto alla nonna un mazzo fresco, le farà piacere; è tanto presto, che arrivo ancora in tempo ". Dal sentiero corse nel bosco in cerca di fiori. E quando ne aveva colto uno, credeva che più in là ce ne fosse uno più bello e ci correva e si addentrava sempre più nel bosco.
    Ma il lupo andò difilato alla casa della nonna e bussò alla porta.
    - Chi è?
    - Cappuccetto Rosso, che ti porta vino e focaccia; apri. - Alza il saliscendi, - gridò la nonna: - io son troppo debole e non posso levarmi.
    Il lupo alzò il saliscendi, la porta si spalancò e, senza dir molto, egli andò dritto a letto della nonna e la ingoiò.
    Poi si mise le sue vesti e la cuffia, si coricò nel letto e tirò le coperte .. Ma Cappuccetto Rosso aveva girato in cerca di fiori, e quando n'ebbe raccolti tanti che più non ne poteva portare, si ricordò della nonna e S'incamminò. Si meravigliò che la porta fosse spalancata ed entrando nella stanza ebbe un'impressione cosi strana che pensò:

    " Oh, Dio mio, oggi, che paura! e di solito sto cosi volentieri con la nonna! " Esclamò:
    - Buon giorno! - ma non ebbe risposta.
    Allora s'avvicinò al letto e scostò le cortine: la nonna era coricata, con la cuffia abbassata sulla faccia e aveva un aspetto strano.
    - Oh, nonna, che orecchie grosse!
    - Per sentirti meglio.
    - Oh, nonna, che occhi grossi!
    - Per vederti meglio.
    - Oh, nonna, che grosse mani!
    - Per meglio afferrarti.
    - Ma, nonna, che bocca spaventosa!
    - Per meglio divorarti!.
    E subito il lupo balzò dal letto e ingoiò il povero Cappuccetto Rosso.
    Saziato il suo appetito, si rimise a letto, s'addormentò e cominciò a russare sonoramente.
    Proprio allora passò li davanti il cacciatore e pensò: " Come russa la vecchia! devo darle un'occhiata, potrebbe star male ".

    Entrò nella stanza e, avvicinatosi al letto, vide il lupo.
    - Eccoti qua, vecchio impenitente, - disse, - è un pezzo che ti cerco.
    Stava per puntare lo schioppo, ma gli venne in mente che il lupo avesse mangiato la nonna e che si potesse ancora salvarla: non sparò, ma prese un paio di forbici e cominciò a tagliare la pancia del lupo addormentato. Dopo due tagli, vide brillare il cappuccetto rosso, e dopo altri due la bambina saltò fuori gridando:
    - Che paura ho avuto! com'era buio nel ventre del lupo!
    Poi venne fuori anche la vecchia nonna, ancor viva, benché respirasse a stento. E Cappuccetto Rosso corse a prender dei pietroni, con cui riempirono la pancia del lupo; e quando egli si svegliò fece per correr via, ma le pietre erano cosi pesanti che subito s'accasciò e cadde morto.
    Erano contenti tutti e tre: il cacciatore scuoiò il lupo e si portò via la pelle; la nonna mangiò la focaccia e bevve il vino che aveva portato Cappuccetto Rosso, e si rianimò; ma Cappuccetto Rosso pensava: " Mai più correrai sola nel bosco, lontano dal sentiero, quando la mamma te l'ha proibito ".

    Raccontano pure che una volta Cappuccetto Rosso portava di nuovo una focaccia alla vecchia nonna, e un altro lupo volle indurla a deviare. Ma Cappuccetto Rosso se ne guardò bene e andò dritta per la sua strada, e disse alla nonna di aver incontrato il lupo, che l'aveva salutata, ma l'aveva guardata male:
    - Se non fossimo stati sulla pubblica via, mi avrebbe mangiato.
    - Vieni, - disse la nonna, - chiudiamo la porta, perché non entri.
    Poco dopo il lupo bussò e gridò:
    - Apri, nonna, sono Cappuccetto Rosso, ti porto la focaccia.
    Ma quelle, zitte, non aprirono; allora Testa Grigia gironzolò un po' intorno alla casa e infine saltò sul tetto, per aspettare che Cappuccetto Rosso, la sera, prendesse la via del ritorno; l'avrebbe seguita di soppiatto, per mangiarsela al buio. Ma la nonna si accorse di quel che tramava. Davanti alla casa c'era un grosso trogolo di pietra, ed ella disse alla bambina:
    - Prendi il secchio, Cappuccetto Rosso, ieri ho cotto le salsicce, porta nel trogolo l'acqua dove han bollito.
    Cappuccetto Rosso portò l'acqua, finché il grosso trogolo fu ben pieno.
    Allora il profumo delle salsicce sali alle narici del lupo, egli si mise a fiutare e a sbirciare in giù, e alla fine allungò tanto il collo che non poté più trattenersi e cominciò a sdrucciolare: e sdrucciolò dal tetto proprio nel grosso trogolo e affogò.
    Invece Cappuccetto Rosso tornò a casa tutta allegra e nessuno le fece del male.


    di Jachob e Wilhelm Grimm
     
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  5. DarkShaina
     
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    Hansel e Gretel
    Le favole scritte dai Fratelli Grimm.
    Hansel e Gretel

    Nella periferia di un piccolo villaggio, al limite del bosco, viveva una famiglia di taglialegna composta dai genitori e da due figli: Hansel e Gretel. I bambini vivevano felici a contatto con la natura che li circondava. Il loro lavoro preferito era quello di raccogliere i frutti del bosco. Una sera, mentre stavano per rincasare, dopo aver giocato nel centro del bosco, udirono un lontano suono simile al pianto di un bambino.

    - È il pianto di un neonato… - Esclamò Gretel.
    - Cerchiamolo- Disse Hansel.
    Penetrarono tra gli alberi, nella direzione dalla quale proveniva il lamento. Nel frattempo si stava facendo buio e tutto diventava grigio.
    - Torniamo, ho una paura tremenda! -Disse Gretel.
    - Sei una codarda e una fifona! - Replicò spavaldamente Hansel.
    - Tua sorella ha ragione, Hansel. È da stupidi girare per il bosco a quest'ora, quindi è meglio che torniate indietro!
    I bambini ebbero un sobbalzo. Chi aveva parlato?
    - Sono io, sono qui… Siete forse ciechi?
    Hansel fu il primo a vederlo:
    - Un corvo che parla? - Disse.
    - In realtà -Rispose il corvo - io sono un nano dalla barba bianca che ha subìto un incantesimo. È stata una strega e il suo maleficio continuerà fino alla sua morte.
    - Hai sentito il pianto di un bambino? -Chiese Gretel.
    - State tranquilli, avete udito me.
    - Sei tu?!- Rise Hansel - Non dire fesserie! Tu hai la voce come quella del vecchio Snipe, l'ubriacone del villaggio: cavernosa.

    Il corvo stava per rispondere loro quando intervenne Gretel:
    - Non essere maleducato, Hansel! Capisco quello che ti è successo, nanetto, e sepotessi ti aiuterei.
    - Sei molto buona, piccola. Non sei certo come quel discolo di tuo fratello. Vi confiderò un segreto… Se andate più avanti, troverete una casetta di cioccolata!
    - Una casa di cioccolata - Intervenne Hansel, che era molto goloso. -Dove, dove?
    - Pochi passi ancora e ci sarete.
    - Non sarà un trucco per farci del male?
    - Presto la potrete vedere. È tutta colorata, piena di caramelle sulle pareti e sul tetto. È fatta di cioccolato, di torrone e marzapane…! È una delizia! Dentro troverete tutti i tipi di dolci.
    - E potremo mangiarli? - Chiese ancora Hansel.
    - Certo - Rispose il corvo. - Basta volerlo,seguitemi!
    I bambini non se lo fecero ripetere due volte e, come l'uccello gli aveva detto, in una radura del bosco incontrarono…
    - Che meraviglia! - Esclamò Gretel.
    - C'è veramente! Pancia mia fatti capanna! - Disse entusiasta, Hansel.
    La realtà superava la fantasia. Al fianco della porta c'erano dei bastoni di zucchero.
    Le pietre del sentiero erano caramelle di tutti i gusti: mente, limone, banana, pino… Quando si avvicinarono alla casa si aprì la porta e una donna, vecchia e sdentata, li incoraggiò.
    - Avanti, entrate figlioli, siete giunti in tempo. Ho appena finito di fare questa torta che dice:"Mangiami!" Volete assaggiarla?
    - Certamente! - Disse Hansel, più deciso, come sempre, di sua sorella.
    I due bambini cominciarono a mangiare tutto quello che la donna gli portava. Poi, una volta sazi, decisero di andarsene.
    - Grazie, buona signora. Non ne possiamo più di mangiare, torneremo a trovarla un'altra volta. È stata molto buona con noi. - Disse Hansel.
    - Il bosco è già buio, fermatevi a dormire qui. Domani sarà un altro giorno. -Disse la vecchia.
    - Lo faremmo volentieri. - Replicò Hansel. - Ma i nostri genitori ci stanno aspettando… Se il nanett… Il signorcorvo, ci farà da guida, non tarderemo a tornare a casa.
    - Niente affatto. - Disse il corvo. - Ho troppo sonno.
    - Allora ce ne andiamo da soli. - Disse Hansel. - Andiamo, sorella mia.
    La padrona di casa cessò improvvisamente di sorridere e, infuriata,gridò:
    - Fermo dove sei, ragazzino! Voi non tornerete dai vostri genitori, né ora né mai più! Come mi piacciono i fanciulli teneri e grassottelli!
    Il corvo, appollaiato sulla spalla della vecchia strega, gridava:
    - Arrostiti, con le patatine, saranno una delizia! Ti consiglio una ricetta di mia nonna: si mettono le cipolle, alloro e rosmarino, in una pentola e poi…
    Hansel e Gretel, terrorizzati, ascoltavano increduli la ricetta dello stufato del corvo, di cui loro erano ingredienti principali.

    Tremanti di paura dissero:
    - Come siamo stati stupidi a cadere in questa trappola!
    Hansel per consolare la sorella disse:
    - Non temere ci salveremo!
    La brutta strega, che aveva sentito tutto, ridendo disse:
    - Hai sentito, corvo? Dicono che se ne andranno da qui!
    - Certo, - rispose il corvo - con le ossa linde e pulite! Ho voglia di mangiarmeli subito, li mangiamo adesso?
    - no, golosone,aspetteremo che ingrassino un po' ancora. Il bimbo è magro e alla bambina un paio di chili in più non guasteranno… Una buona razione di dolci al giorno li farà diventare come li desideriamo!
    Prese Hansel per le bretelle e disse:
    - In cella finché non ingrassi. E non opporre resistenza!
    Gli sforzi del piccolo risultarono inutili.
    Fu buttato in una stanza senza finestre che comunicava con un'altra cella da dove Hansel poteva vedere la sorella. Allora disse:
    - Non dobbiamo disperarci, Gretel, fatti coraggio!
    -Oh, Hansel, ci vogliono mangiare!
    - Per il momento siamo ancora vivi… Ora, però, ascoltami bene: la vecchia è corta di vista. L'ho capito perché guarda come quel contadino del paese che non riconosce un asino da dieci passi!
    Spiegò tutto il suo piano e concluse:
    - Non ti opporre, fa quello che ti chiedono. Dobbiamo guadagnare tempo.
    Il bambino era orgoglioso del suo piano e guardava soddisfatto il topolino che aveva assistito al dialogo dei due fratelli.
    Ma la situazione era disperata. Hansel lo sapeva. Si guardava intorno alla ricerca di una possibile via di fuga; ma invano, la cella era solida, a prova di fuga.
    Il trucco che aveva ideato avrebbe funzionato per un po' di tempo, ma poi? Certamente la strega si sarebbe accorta dell'inganno e… Tremò di paura e fu colto dallo sconforto. Però non si dette per vinto.
    Chiamò sua sorella attraverso le sbarre per tracciare un secondo piano d'azione, l'unico possibile.
    Ella ascoltò le parole del fratello. Voleva credere in una possibilità di salvezza, per quanto improbabile fosse.
    Il giorno seguente, la strega si avvicinò alla cella della bambina e le disse:
    - Tira fuori un dito, Gretel, che voglio vedere se sei ingrassata.
    Come prevedeva il piano di Hansel, la piccina fece passare attraverso le sbarre, un ossicino di pollo, avanzato la sera prima.

    La strega palpando, senza accorgersi dell'inganno,pensò:
    << Gli dovrò dare più cibo, è ancora molto magra.>>
    La stessa cosa successe con il bambino.
    Il giorno seguente si ripeté la stessa scena e allora Gretel disse alla strega:
    - Visto che dovrò rimanere qui per tanto tempo perché non mi fai uscire? Potrei aiutarti nelle faccende domestiche, finché non ti deciderai a mangiarmi.
    La vecchia strega rimase pensierosa per alcuni momenti, poi si decise e disse:
    - Mi sembra una buona idea, ma bada, se cerchi di fuggire mi mangio subito tuo fratello!
    Però nel vedere la bimba girare per casa, la strega,che era molto golosa, decise che se la sarebbe mangiata per cena.
    Gretel intuì la cosa e in fretta cercò la chiave della cella, la aprì e liberò Hansel.
    - Cosa facciamo adesso?
    - Aspetta, bisogna riflettere. - Disse Hansel guardandosi attorno.
    Poi vide il corvo appollaiato sul manico del mestolo, sopra al pentolone che bolliva, ed ebbe un'idea.
    In quel momento, infatti, la strega si trovava china sul pentolone, tutta intenta nei preparativi dell'ambita cena.
    Fu proprio allora che Hansel, ricordando quello che il corvo gli aveva confidato nel bosco in relazione al maleficio di cui era vittima, gridò:
    - Corvo, uccidi la strega!
    L'uccello, che non aspettava che questa occasione,balzò sulla strega e le diede una tremenda beccata sulla testa, facendola finire nel pentolone.
    Poi si rivolse ai due fratelli e disse:
    - Fuggite!
    Hansel e Gretel, non se lo fecero ripetere, fuggirono a gambe levate e non tornarono mai più in quella parte del bosco

    di Jachob e Wilhelm Grimm
     
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  6. DarkShaina
     
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    Il Brutto anatroccolo
    Fiaba Hans Crhistian Andersen

    Il brutto anatroccolo:

    L'estate era iniziata; i campi agitavano le loro spighe dorate, mentre il fieno tagliato profumava la campagna.
    In un luogo appartato, nascosta da fitti cespugli vicini ad un laghetto, mamma anatra aveva iniziato la nuova cova.
    Siccome riceveva pochissime visite, il tempo le passava molto lentamente ed era impaziente di vedere uscire dal guscio la propria prole… finalmente, uno dopo l'altro, i gusci scricchiolarono e lasciarono uscire alcuni adorabili anatroccoli gialli.

    - Pip! Pip! Pip! Esclamarono i nuovi nati, il mondo è grande ed è bello vivere!-
    - Il mondo non finisce qui,- li ammonì mamma anatra,- si estende ben oltre il laghetto, fino al villaggio vicino, ma io non ci sono mai andata. Ci siete tutti? - Domandò.
    Mentre si avvicinava, notò che l'uovo più grande non si era ancora schiuso e se ne meravigliò.
    Si mise allora a covarlo nuovamente con aria contrariata.
    - Buongiorno! Come va? - Le domandò una vecchia anatra un po' curiosa che era venuta in quel momento a farle visita.

    - Il guscio di questo grosso uovo non vuole aprirsi, guarda invece gli altri piccoli, non trovi che siano meravigliosi?-
    - Mostrami un po' quest'uovo. - Disse la vecchia anatra per tutta risposta. - Ah! Caspita! Si direbbe un uovo di tacchina! Ho avuto anche io, tempo fa, Questa sorpresa: Quello che avevo scambiato per un anatroccolo era in realtà un tacchino e per questo non voleva mai entrare in acqua. Quest'uovo è certamente un uovo di tacchino. Abbandonalo ed insegna piuttosto a nuotare agli altri anatroccoli!-
    - Oh! Un giorno di più che vuoi che mi importi! Posso ancora covare per un po'. - Rispose l'anatra ben decisa.-
    - Tu sei la più testarda che io conosca! - Borbottò allora la vecchia anatra allontanandosi.
    Finalmente il grosso uovo si aprì e lascio uscire un grande anatroccolo brutto e tutto grigio.
    - Sarà un tacchino! - Si preoccupò l'anatra. - Bah! Lo saprò domani!-
    Il giorno seguente, infatti, l'anatra portò la sua piccola famiglia ad un vicino ruscello e saltò nell'acqua: gli anatroccoli la seguirono tutti, compreso quello brutto e grigio.
    - Mi sento già più sollevata, - sospirò l'anatra, - almeno non è un tacchino! Ora, venite piccini, vi presenterò ai vostri cugini.-

    La piccola comitiva camminò faticosamente fino al laghetto e gli anatroccoli salutarono le altre anatre.
    - Oh! Guardate, i nuovi venuti! Come se non fossimo già numerosi!… e questo anatroccolo grigio non lo vogliamo! - Disse una grossa anatra, morsicando il poverino sul collo.-
    - Non fategli male! - Gridò la mamma anatra furiosa - E' così grande e brutto che viene voglia di maltrattarlo! - Aggiunse la grossa anatra con tono beffardo.- E' un vero peccato che sia così sgraziato, gli altri sono tutti adorabili, - rincarò la vecchia anatra che era andata a vedere la covata.
    - Non sarà bello adesso, può darsi però che, crescendo , cambi; e poi ha un buon carattere e nuota meglio dei suoi fratelli, - assicurò mamma anatra, -
    -La bellezza, per un maschio, non ha importanza, - concluse, e lo accarezzò con il becco - andate, piccoli miei, divertitevi e nuotate bene!-
    Tuttavia, l'anatroccolo, da quel giorno fu schernito da tutti gli animali del cortile: le galline e le anatre lo urtavano, mentre il tacchino, gonfiando le sue piume, lo impauriva.
    Nei giorni che seguirono, le cose si aggravarono: il fattore lo prese a calci e i suoi fratelli non perdevano occasione per deriderlo e maltrattarlo.

    Il piccolo anatroccolo era molto infelice. Un giorno, stanco della situazione, scappò da sotto la siepe.
    Gli uccelli, vedendolo, si rifugiarono nei cespugli. "sono così brutto che faccio paura!" pensò l'anatroccolo.
    Continuò il suo cammino e si rifugiò, esausto, in una palude abitata da anatre selvatiche che accettarono di lasciargli un posticino fra le canne.

    Verso sera, arrivarono due oche selvatiche che maltrattarono il povero anatroccolo già così sfortunato.
    Improvvisamente, risuonarono alcuni spari… le due oche caddero morte nell'acqua! I cacciatori, posti intorno alla palude, continuarono a sparare. Poi i lori cani solcarono i giunchi e le canne. Al calar della notte, il rumore cessò.
    Il brutto anatroccolo ne approfittò per scappare il più velocemente possibile. Attraversò campi e prati, mentre infuriava una violenta tempesta. Dopo qualche ora di marcia, arrivò ad una catapecchia la cui porta era socchiusa.
    L'anatroccolo si infilò dentro: era la dimora di una vecchia donna che viveva con un gatto ed una gallina. Alla vista dell'anatroccolo, il micio cominciò a miagolare e la gallina cominciò a chiocciare, tanto che la vecchietta, che aveva la vista scarsa, esclamò:
    - Oh, una magnifica anatra! Che bellezza, avrò anche le uova… purché non sia un' anatra maschio! Beh, lo vedremo, aspettiamo un po'!-La vecchia attese tre lunghe settimane… ma le uova non arrivarono e cominciò a domandarsi se fosse davvero un'anatra! Un giorno, il micio e la gallina, che dettavano legge nella stamberga, interrogarono l'anatroccolo:
    - Sai deporre le uova? - domandò la gallina;
    - No… - rispose l'anatroccolo un po' stupito.
    - Sai fare la ruota? - domandò il gatto;
    - No, non ho mai imparato a farla! - rispose l'anatroccolo sempre più meravigliato.
    - Allora vai a sederti in un angolo e non muoverti più! - gli intimarono i due animali con cattiveria.Improvvisamente, un raggio di sole e un alito di brezza entrarono dalla porta.

    L'anatroccolo ebbe subito una grande voglia di nuotare e scappò lontano da quegli animali stupiti e cattivi.
    L'autunno era alle porte, le foglie diventarono rosse poi caddero.
    Una sera, l'anatroccolo vide alcuni bellissimi uccelli bianco dal lungo collo che volavano verso i paesi caldi. Li guardò a lungo girando come una trottola nell'acqua del ruscello per vederli meglio: erano cigni! Come li invidiava!
    L'inverno arrivò freddo e pungente; l'anatroccolo faceva ogni giorno un po' di esercizi nel ruscello per riscaldarsi. Una sera dovette agitare molto forte le sue piccole zampe perché l'acqua intorno a lui non gelasse: ma il ghiaccio lo accerchiava di minuto in minuto… finché, esausto e ghiacciato, svenne.
    Il giorno seguente, un contadino lo trovò quasi senza vita; ruppe il ghiaccio che lo circondava e lo portò ai suoi ragazzi che lo circondarono per giocare con lui. Ahimè, il poveretto ebbe una gran paura e si gettò prima dentro un bidone di latte e poi una cassa della farina. Finalmente riuscì ad uscire e prese il volo inseguito dalla moglie del contadino.

    Ancora una volta il brutto anatroccolo scappò ben lontano per rifugiarsi, esausto, in un buco nella neve.
    L'inverno fu lungo e le sue sofferenze molto grandi… ma un giorno le allodole cominciarono a cantare e il sole riscaldò la terra: la primavera era finalmente arrivata!
    L'anatroccolo si accorse che le sue ali battevano con molto più vigore e che erano anche molto robuste per trasportarlo sempre più lontano. Partì dunque per cercare nuovi luoghi e si posò in un prato fiorito. Un salice maestoso bagnava i suoi rami nell'acqua di uno stagno dove tre cigni facevano evoluzioni graziose. Conosceva bene quei meravigliosi uccelli! L'anatroccolo si lanciò disperato verso di loro gridando:
    - Ammazzatemi, non sono degno di voi!-

    Improvvisamente si accorse del suo riflesso sull'acqua: che sorpresa! Che felicità! Non osava crederci: non era più un anatroccolo grigio… era diventato un cigno: come loro!!
    I tre cigni si avvicinarono e lo accarezzarono con il becco dandogli così il benvenuto, mentre alcuni ragazzi attorno allo stagno declamavano a gran voce la sua bellezza e la sua eleganza.
    Mise la testa sotto le ali, quasi vergognoso di tanti complimenti e tanta fortuna: lui che era stato per tanto tempo un brutto anatroccolo era finalmente felice e ammirato.

    Hans Christian Andersen
     
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  7. hondaman
     
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    Vampiro notturno

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    non posso non postare questa fiaba la adoravo da piccola vi avverto è un pò lunga :P

    La penna di Finist, fulgido falco


    C'era una volta un vecchio che aveva tre figlie; la maggiore e la seconda erano due vanitose, la terza era tutta dedita alla casa.

    Un giorno il padre dovette partire per recarsi in città e chiese alle figlie: "Che cosa devo comprarvi?" La maggiore disse: "Comprami un vestito!". La seconda chiese la stessa cosa. "E tu cosa desideri, figlia mia prediletta?" chiese egli alla minore. "A me, babbo, compra una penna di Finist, fulgido falco." Il padre le salutò e partì per la città; alle maggiori comprò un vestito, ma la penna di Finist, fulgido falco, non riuscì a trovarla da nessuna parte. Tornò a casa; le figlie maggiori furono felici dei loro vestiti nuovi. "Per te invece," disse il padre alla minore "non ho trovato la penna di Finist, fulgido falco." "Pazienza," disse lei "forse sarò più fortunata un'altra volta." Le sorelle maggiori tagliarono e cucirono i loro tagli d'abito e intanto si facevano beffe della minore, ma lei se ne stava zitta.

    Di nuovo il padre dovette recarsi in città e chiese: "Allora, ragazze, cosa vi debbo comprare?" La maggiore e la seconda chiesero uno scialle, la minore disse: "Babbo, a me compra una penna di Finist, fulgido falco". Il padre andò in città, comprò due scialli, ma della penna neanche l'ombra. Tornò e disse: "Eh, figlia, di nuovo non ho trovato la penna di Finist, fulgido falco!" "Non importa, babbo, forse sarò più fortunata un'altra volta."

    Ed ecco che il padre si accinse ad andare nuovamente in città e chiese: "Allora, ragazze, cosa vi debbo comprare?" Le maggiori dissero: "Compraci degli orecchini"; mentre la minore ripetè la sua solita richiesta: "A me compra la penna di Finist, fulgido falco." Il padre comprò degli orecchini d'oro e si diede da fare per trovare la penna, ma nessuno l'aveva vista; tutto triste, si allontanò dalla città. Appena fuori dai confini della città gli venne incontro un vecchietto con una scatola in mano. "Cosa c'è lì dentro?" "La penna di Finist, fulgido falco." "Quanto vuoi per questa penna?" "Facciamo mille." Il padre pagò e volò a casa con la scatola. Gli vennero incontro le figlie. "Ebbene, figlia mia prediletta" disse alla minore "finalmente ti ho comprato un regalo: su, prendi!" La figlia minore quasi impazzì dalla gioia, prese la scatola e si mise ad accarezzarla, a baciarla ed a stringerla forte al cuore. Dopo cena tutti si ritirarono a dormire nelle loro stanze; anch'essa andò in camera sua, aprì la scatola, e la penna di Finist, fulgido falco, volò fuori, toccò il pavimento e si trasformò in uno splendido principe. Si mise a parlare con la fanciulla e si dissero parole tenere. Le sorelle udirono e chiesero "Con chi stai parlando, sorellina?". "Parlo da sola" rispose la bella fanciulla. "Su, apri!" Il principe si gettò a terra e tornò ad essere penna; lei la prese, la ripose nella scatola ed aprì la porta. Le sorelle guardarono di qua, guardarono di là, ma non c'era nessuno. Appena furono uscite, la bella fanciulla aprì la finestra, prese la penna e disse: "Vola via, vola fuori in campo aperto, penna mia!". La penna si trasformò in fulgido falco e volò via in aperta campagna.

    La notte seguente Finist, fulgido falco, venne dalla fanciulla; i loro discorsi furono gioiosi; le sorelle udirono e corsero subito dal padre: "Babbo, nostra sorella riceve qualcuno ogni notte, anche ora è con lei a parlare". Il padre si alzò dal letto ed andò dalla figlia minore, ma quando entrò nella sua stanza il principe si era già da un pezzo, trasformato in penna e se ne stava nella scatola. "Ehi, voi, canaglie che non siete altro!" il padre si scagliò contro le due figlie maggiori: "Perchè la calunniate ingiustamente? Fatevi piuttosto i fatti vostri!"

    Il giorno seguente le sorelle si fecero furbe: di sera, quando fuori era gia buio, portarono una scala, presero coltelli ed aghi appuntiti e li conficcarono nella finestra della fanciulla. Di notte arrivò Finist, fulgido falco, lottò, lottò, ma non riuscì ad entrare nella stanza, si ferì solo le ali. "Addio, bella fanciulla!" disse. " Se mi vorrai trovare, dovrai cercarmi per monti e per mari, nell'ultimo dei reami. Ma prima di trovarmi dovrai consumare tre paia di scarpe di ferro, spezzare tre bastoni di ghisa, rosicchiare tre pani duri come pietra!" Ma la fanciulla dormiva e, benché nel sonno udisse queste pesanti parole, non poteva alzarsi, né svegliarsi. Al mattino si svegliò, guardò intorno e vide conficcati nella finestra aghi e coltelli e vide che da essi colava il sangue. Agitò le braccia: "Ah, mio Dio! Devono essere state le sorelle a rovinare il mio amato!" Senza pensarci, uscì di casa. Corse alla fucina, si fece fare tre paia di scarpe di ferro e tre bastoni di ghisa, si procurò tre pani duri come pietra e si mise in cammino, alla ricerca di Finist, fulgido falco.

    Cammina, cammina, consumò un paio di scarpe, spezzò un bastone di ghisa e rosicchiò un pane duro come una pietra; arrivò ad una piccola izba e bussò:

    "Padrone e padroncina,
    salvatemi dalla buia notte che si avvicina!".

    Le rispose una vecchietta: "Benvenuta, bella fanciulla! Dove sei diretta, colombella?" "Sapessi, nonna! Sono alla ricerca di Finist, fulgido falco." "Ah, fanciulla, ne dovrai fare di strada prima di trovarlo!" Al mattino la vecchia disse: "Ora vai dalla mia seconda sorella, essa ti dirà la cosa giusta da fare. Ed eccoti il mio regalo: una conocchia d'argento e un fuso d'oro; se filerai del capecchio, vedrai uscire un filo d'oro." Poi prese un gomitolo, lo fece rotolare sulla strada e le ordinò di seguirlo: dovunque il gomitolo andasse, lei doveva andargli dietro.

    Presto o tardi un altro paio di scarpe fu consumato, un altro bastone di ghisa spezzato, un altro pane duro come pietra rosicchiato; alla fine il gomitolo si diresse verso una piccola izba. Bussa: "Aprite buona gente, salvate dalla notte buia una povera fanciulla!". "Siate la benvenuta!" rispose una vecchia. ";Dove sei diretta, bella fanciulla?" "Nonna, vado alla ricerca di Finist, fulgido falco." "Dovrai farne di strada per trovarlo!" Al mattino la vecchia le diede un piatto d'argento e un uovo d'oro, poi la mandò da sua sorella maggiore: "Lei sa dove puoi trovare Finist, fulgido falco!". La fanciulla si congedò dalla vecchia e si mise in cammino; cammina, cammina, consuma il terzo paio di scarpe, spezzò il terzo bastone di ghisa, rosicchiò l'ultimo pane duro come pietra e fu allora che il gomitolo si diresse verso una piccola izba. La pellegrina bussò disse: "Aprite, buona gente, salvate dalla notte buia una povera fanciulla!" Di nuovo uscì una vecchia: "Vieni, colombella, sii la benvenuta! Da dove vieni e dove sei diretta?" "Io, nonna, sono alla ricerca di Finist, fulgido falco." "Oh, è molto difficile trovarlo! Egli abita ora nella tal città, sposato con la figlia della mugnaia." Al mattino la vecchia disse alla fanciulla: "Eccoti un regalo: un telaio d'oro ed un ago; tu devi solo tener fermo il telaio e l'ago cucirà da solo. Ora vai con Dio e fatti assumere dalla mugnaia come lavorante".

    Detto, fatto. La fanciulla arrivò nel cortile della mugnaia e si impiegò come lavorante; il lavoro ferve sotto le sue mani: accende la stufa, porta l'acqua, prepara il pranzo. La mugnaia guarda e se ne rallegra. "Grazie a Dio," dice alla figlia "abbiamo assunto una lavorante brava e servizievole, fa tutto senza bisogno di dirle nulla!" Ma dopo le faccende domestiche, la fanciulla prendeva la conocchia d'argento, il fuso d'oro e si sedeva a filare; filava e il filo che usciva non era un filo qualunque, ma d'oro puro. La figlia della mugnaia lo vide e disse: "Bella fanciulla, non mi venderesti questo tuo giocattolo?". "Potrei anche vendertelo!" "A che prezzo?" "Concedimi di passare una notte con tuo marito." La figlia della mugnaia accettò. ' Non c'è niente di male ' pensò ' Il marito lo posso addormentare con un sonnifero e grazie a quel fuso io e la mamma diventeremo ricche! ' Ma Finist, fulgido falco, non era in casa; per tutto il giorno girò sotto la volta celeste e tornò solo verso sera. Si sedettero a cena; la bella fanciulla serviva a tavola e continuava a guardarlo, ma egli, il bel giovine, non la riconosceva neanche. La figlia della mugnaia sciolse allora del sonnifero nel bicchiere di Finist, fulgido falco, poi lo mise a dormire e disse alla lavorante: "Tu vai in camera sua a cacciar le mosche!" Ed ecco lì la fanciulla che caccia le mosche ed intanto piange: "Sveglia, sveglia, Finist, fulgido falco! Sono io, la bella fanciulla, sono venuta da te; tre bastoni di ghisa ho spezzato, tre paia di scarpe di ferro ho consumato, tre pani come pietra ho rosicchiato e sempre te, mio amato, ho cercato!". Ma Finist dormiva e non sentiva niente;così passò la notte.

    Il giorno dopo, la lavorante prese il piattino d'argento e ci fece rotolare sopra l'uovo d'oro: venne fuori una montagna di uova d'oro. La figlia della mugnaia vide tutto. "Dammi il tuo giocattolo!" esclamò. "Prego, compralo!" "E quanto costa?" "Lasciami trascorrere un'altra notte con tuo marito." "Va bene, ci sto." Ma Finist, fulgido falco di nuovo girò tutto il giorno sotto la volta del cielo e tornò a casa solo verso sera. Si sedettero a cena, la bella fanciulla serviva a tavola e continuava a guardarlo, ma egli sembrava non averla mai conosciuta. Di nuovo la figlia della mugnaia gli versò del sonnifero, lo mise a dormire e mandò la lavorante a cacciare le mosche. E anche questa volta, per quanto elle piangesse e facesse, non riuscì a svegliarlo, egli dormì fino al mattino e non sentì nulla.

    II terzo giorno la bella fanciulla prese in mano il telaio d'oro e l'ago che cuciva da solo: ne uscirono ricami incantevoli. Li vide la figlia della mugnaia e disse: "Bella fanciulla, vendimi il tuo giocattolo!" "Prego, puoi comprarlo!" "E quanto costa?" "Lasciami trascorrere un'altra notte con tuo marito!" "Va bene, ci sto!" A sera arrivò Finist, fulgido falco; la moglie gli diede da bere il sonnifero, lo mise a dormire e mandò la lavorante a cacciare le mosche. Ed ecco la bella fanciulla cacciare le mosche e intanto ripetere fra le lacrime: "Sveglia, sveglia, Finist, fulgido falco! Sono io, la bella fanciulla, sono venuta da te; tre bastoni di ghisa ho spezzato, tre paia di scarpe di ferro ho consumato, tre pani come pietra ho rosicchiato e sempre te, mio amato, ho cercato!". Ma Finist, fulgido falco, dormiva sodo e non sentiva nulla. A lungo pianse, a lungo cercò di svegliarlo; improvvisamente una sua lacrima cadde sulla guancia di lui ed egli si svegliò: "Ah," esclamò "c'è qualcosa che mi ha bruciato!" "Finist, fulgido falco!" gli rispose la fanciulla. "Sono venuta da te; tre bastoni di ghisa ho spezzato, tre paia di scarpe di ferro ho consumato, tre pani come pietra ho rosicchiato e sempre te ho cercato! È già la terza notte che sono qui a vegliarti, ma tu dormi e non vuoi svegliarti, alle mie parole non rispondi!" Solo allora Finist, fulgido falco, la riconobbe e ne fu talmente felice che è impossibile raccontarlo. Si misero d'accordo e fuggirono via dalla mugnaia.

    Al mattino, la figlia della mugnaia si mise a cercare il marito, ma non trovò nè lui, nè la lavorante. Andò a lamentarsi dalla madre e questa le ordinò di attaccare i cavalli e di lanciarsi al loro inseguimento. Lei andò, andò, passò anche dalle tre vecchie, ma non riuscì a raggiungere Finist, fulgido falco: perfino le sue tracce erano scomparse!

    Finist, fulgido falco, si trovava intanto, insieme alla sua promessa, nei pressi della casa di lei; battè contro l'umida terra e divenne una penna; la fanciulla la prese, la nascose in seno e si recò dal padre. "Oh, figlia mia amata, credevo che tu non fossi nemmeno più al mondo! Dove sei stata tutto questo tempo?" "Sono stata a pregare Iddio." Tutto ciò avveniva proprio alla vigilia della settimana santa e il padre si preparava a recarsi alla funzione mattutina insieme alle figlie maggiori. "Su, figlia cara," disse egli rivolto alla figlia minore "preparati e vieni anche tu, è una giornata così gioiosa!" "Babbo, ma io non ho niente da mettermi." "Mettiti i nostri vestiti", dissero le figlie maggiori. "Ah, sorelle, ma i vostri vestiti non mi vanno bene! Preferisco restare a casa."

    Il padre con le due figlie maggiori partì per la funzione mattutina; la bella fanciulla allora si tolse dal seno la penna. La penna toccò il pavimento e si trasformò nel bel principe. Il Principe fischiò nella finestra e immediatamente comparvero abiti, ornamenti e una carrozza d'oro. Si vestirono, salirono in carrozza e partirono. Entrati in chiesa si sistemarono davanti a tutti; il popolo si stupiva: chi è questo principe che ci onora della sua presenza insieme alla sua principessa? Al termine della funzione essi uscirono prima degli altri e partirono; la carrozza sparì e, insieme ad essa, anche gli abiti e gli ornamenti, come se non ci fossero mai stati ed il principe si tramutò in penna. Il padre e le figlie maggiori tornarono a casa: "Sapessi, sorellina, tu non sei venuta con noi, ma in chiesa c'era un bellissimo principe con un'adorabile principessa!" "Non importa sorella, voi me lo raccontate ed è come se ci fossi stata anch'io!"

    Il giorno seguente avvenne la stessa cosa, e il terzo successe che proprio mentre il principe con la bella fanciulla saliva in carrozza, il padre uscì dalla chiesa e vide con i suoi stessi occhi la carrozza avvicinarsi alla sua casa e sparire. Quando tornò, cominciò ad interrogare la figlia minore ed essa si disse: ' Non c'è niente da fare, bisogna confessare ogni cosa! ' Prese la penna, la penna toccò il pavimento e si trasformò nel principe. Si celebrarono le nozze ed il matrimonio fu ricchissimo.

     
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  9. hondaman
     
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    Palude Dell'Eterno Fetore

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    molto belle :)
     
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  11. DarkShaina
     
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    La piccola fiammiferaia

    Era la fine dell'anno faceva molto freddo.

    Una povera bambina camminava a piedi nudi per le strade della città.
    La mamma le aveva dato un paio di pantofole, ma erano troppo grandi e la povera piccola le aveva perdute attraversando la strada.
    Un monello si era precipitato e aveva rubato una delle pantofole perdute.
    Egli voleva farne una culla per la bambola della sorella.
    La piccola portava nel suo vecchio grembiule una gran quantità di fiammiferi che doveva vendere.
    Sfortunatamente c'era in giro poca gente: infatti quasi tutti erano a casa impegnati nei preparativi della festa e la poverina non aveva guadagnato neanche un soldo.
    Tremante di freddo e spossata, la bambina si sedette nella neve: non osava tornare a casa, poiché sapeva che il padre l'avrebbe picchiata vedendola tornare con tutti i fiammiferi e senza la più piccola moneta.
    Le mani della bambina erano quasi gelate.

    Un pochino di calore avrebbe fatto loro bene! La piccola prese un fiammifero e lo sfregò contro il muro.
    Una fiammella si accese e nella dolce luce alla bambina parve di essere seduta davanti a una grande stufa!
    Le mani e i piedi cominciavano a riscaldarsi, ma la fiamma durò poco e la stufa scomparve.
    La piccola sfregò il secondo fiammifero e, attraverso il muro di una casa, vide una tavola riccamente preparata.
    In un piatto fumava un'oca arrosto.... All'improvviso, il piatto con l'oca si mise a volare sopra la tavola e la bambina stupefatta, pensò che l'attendeva un delizioso pranzetto.
    Anche questa volta, il fiammifero si spense enon restò che il muro bianco e freddo.
    La povera piccola accese un terzo fiammifero e all'istante si trovò seduta sotto un magnifico albero di Natale.
    Mille candeline brillavano e immagini variopinte danzavano attorno all'abete.
    Quando la piccola alzò le mani il fiammifero si spense.

    Tutte le candele cominciarono a salire in alto verso il cielo e la piccola fiammiferaia si accorse che non erano che stelle.
    Una di loro tracciò una scia luminosa nel cielo: era una stella cadente.
    La bambina pensò alla nonna che le parlava delle stelle.
    La nonna era tanto buona! Peccato che non fosse più al mondo.

    Quando la bambina sfregò un altro fiammifero sul muro, apparve una grande luce. In quel momento la piccola vide la nonna tanto dolce e gentile che le sorrideva.
    -Nonna, - escalmò la bambina - portami con te! Quando il fiammifero si spegnerà, so che non sarai più là. Anche tu sparirai come la stufa, l'oca arrosto e l'albero di Natale!
    E per far restare l'immagine della nonna, sfregò uno dopo l'altro i fiammiferi.
    Mai come in quel momento la nonna era stata così bella.
    La vecchina prese la nipotina in braccio e tutte e due, trasportate da una grande luce, volarono in alto, così in alto dove non c'era fame, freddo né paura.
    Erano con Dio.

    di Andersen
     
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  12.  
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    Tremotino
    dei fretelli Grimm



    C'era una volta un mugnaio che era povero, ma aveva una bella figlia.
    Un giorno gli capitò di parlare con il re e gli disse: "Ho una figliola che sa filare l'oro dalla paglia".
    Al re, cui piaceva l'oro, la cosa piacque, e ordinò che la figlia del mugnaio fosse condotta innanzi a lui.
    La condusse in una stanza piena di paglia, le diede il filatoio e l'aspo e disse: "Se in tutta la notte, fino all'alba, non fai di questa paglia oro filato, dovrai morire".
    Poi la porta fu chiusa ed ella rimase sola. La povera figlia del mugnaio se ne stava là senza sapere come salvarsi, poiché‚ non aveva la minima idea di come filare l'oro dalla paglia; la sua paura crebbe tanto che finì col mettersi a piangere. D'un tratto la porta si aprì ed entrò un omino che disse: "Buona sera, madamigella mugnaia, perché‚ piangi tanto?".
    "Ah" rispose la fanciulla "devo filare l'oro dalla paglia e non sono capace!"
    Disse l'omino: "Che cosa mi dai, se te la filo io?".
    "La mia collana" rispose la fanciulla.
    L'omino prese la collana, sedette davanti alla rotella e frr, frr, frr tirò il filo tre volte e il fuso era pieno. Poi ne introdusse un altro e frr, frr, frr, tirò il filo tre volte e anche il secondo fuso era pieno; andò avanti così fino al mattino: ed ecco tutta la paglia era filata e tutti i fusi erano pieni d'oro.
    Quando il re andò a vedere, si meravigliò e ne fu molto soddisfatto, ma il suo cuore divenne ancora più avido. Così fece condurre la figlia del mugnaio in una stanza molto più grande, piena di paglia, che anche questa volta doveva essere filata in una notte, se aveva cara la vita.
    La fanciulla non sapeva a che santo votarsi e piangeva; ma all'improvviso si aprì la porta e l'omino entrò dicendo: "Cosa mi dai se ti filo l'oro dalla paglia?".
    "L'anello che ho al dito" rispose la fanciulla.
    L'omino prese l'anello, la ruota cominciò a ronzare e al mattino tutta la paglia si era mutata in oro splendente. A quella vista il re andò in visibilio ma, non ancora sazio, fece condurre la figlia del mugnaio in una terza stanza ancora più grande delle precedenti, piena di paglia, e disse: "Dovrai filare anche questa paglia entro stanotte; se ci riesci sarai la mia sposa".
    Infatti egli pensava che da nessun'altra parte avrebbe trovato una donna tanto ricca. Quando la fanciulla fu sola, ritornò per la terza volta l'omino e disse: "Che cosa mi dai se ti filo la paglia anche questa volta?".
    "Non ho più nulla" rispose la fanciulla.
    "Allora promettimi" disse l'omino "quando sarai regina, di darmi il tuo primo bambino".
    "Chissà come andrà a finire!" pensò la figlia del mugnaio e, del resto, messa alle strette, non sapeva che altro fare, perciò accordò la sua promessa all'omino che, anche questa volta, le filò l'oro dalla paglia.
    Quando al mattino venne il re e trovò che tutto era stato fatto secondo i suoi desideri, la sposò; e la bella mugnaia divenne regina. Dopo un anno diede alla luce un bel maschietto e non si ricordava neanche più dell'omino, quando questi le entrò d'un tratto nella stanza a reclamare ciò che gli era stato promesso.
    La regina inorridì e gli offrì tutte le ricchezze del regno, purché‚ le lasciasse il bambino; ma l'omino disse: "No, qualcosa di vivo mi è più caro di tutti i tesori del mondo".
    Allora la regina incominciò a piangere e a lamentarsi, tanto che l'omino s'impietosì e disse: "Ti lascio tre giorni di tempo: se riesci a scoprire come mi chiamo, potrai tenerti il bambino".
    La regina passò la notte cercando di ricordare tutti i nomi che mai avesse udito, inviò un messo nelle sue terre a domandare in lungo e in largo, quali altri nomi si potevano trovare. Il giorno seguente, quando venne l'omino, ella cominciò con Gaspare, Melchiorre e Baldassarre e disse tutta una lunga sfilza di nomi, ma ogni volta l'omino diceva: "Non mi chiamo così".
    Il secondo giorno, ella mandò a chiedere come si chiamasse la gente nei dintorni e propose all'omino i nomi più insoliti e strani quali: Latte di gallina, Coscia di montone, Osso di balena.
    Ma egli rispondeva sempre: "Non mi chiamo così".
    Il terzo giorno tornò il messo e raccontò: Nuovi nomi non sono riuscito a trovarne, ma ai piedi di un gran monte, alla svolta del bosco, dove la volpe e la lepre si dicono buona notte, vidi una casetta; e davanti alla casetta ardeva un fuoco intorno al quale ballava un omino quanto mai buffo, che gridava, saltellando su di una sola gamba:"Fare oggi il pane, la birra domani, la miglior cosa per me che sarà? Avere il figlio del re dopodomani! Mi chiamo Tremotino, questo è il bello! Nessun risponderà all'indovinello!".
    All'udire queste parole, la regina si rallegrò e poco dopo quando l'omino entrò e le disse: "Allora, regina, come mi chiamo?" ella da principio domandò: "Ti chiami Corrado?".
    "No".
    "Ti chiami Enrico?".
    "No".
    "Ti chiami forse Tremotino?"
    "Te l'ha detto il diavolo, te l'ha detto il diavolo!" gridò l'omino; e per la rabbia pestò in terra il piede destro con tanta forza, che sprofondò fino alla cintola; poi, nell'ira, afferrò con le mani il piede sinistro e si squarciò.

    Fine
     
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